Nicola Romano per Salvatore Sblando con «Lo strano diario di un tramviere»
![]() Lo strano diario di un tramviere
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autori: | Salvatore Sblando |
formato: | Libro |
prezzo: | |
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Percorrere i testi di questo “strano diario d’un tramviere” (costituito dalla crestomazia di sue poesie scritte negli ultimi sei anni) vuol dire assistere a una specie di “stillicidio d’anima” regolato dalla cadenza di ben precise date che, ritengo, vogliano fermare l’istante incombente su particolari sensazioni che andavano cristallizzate e appuntate attraverso una confacente espressione. Pur non essendo presente una netta divisione in diverse sezioni, la raccolta sembra essere strutturalmente impostata in quadri ben distinti e annunciati da alcuni versi messi in esergo, come a voler assegnare una netta collocazione a ciascun gruppo di riflessioni rivolte ai vari settori caduti nel mirino della propria sensibilità.
E comunque, ab initio pensiamo davvero che il tramviere citato nel titolo della raccolta non sia per niente rintracciabile nelle more del dettato poetico di Sblando, dal momento che a rivelarsi è qui soltanto un Uomo proiettato nel suo tempo, nella sua contemporaneità, un tempo vieppiù presente, e che tenta di assegnare a ogni visibile presenza un suo possibile significato, e tutto prescinde evidentemente dal “mestiere” degnamente esercitato. Semmai, se associazione d’idee ci può essere (e volendo inventare un’improbabile allegoria) possiamo dire che una sede di percorso ben definito (e dal quale non si può derogare) nonché l’allegro scorrere d’un tram, si possono paragonare alla puntualità, alla sobrietà e all’incedere comunicativo e fluido della poesia del nostro autore.
Da dire ancora che, nel cogliere gli effluvi che scaturiscono da questa come dalle altre sue precedenti raccolte, possiamo certamente stabilire che Salvatore Sblando è un autore dal fare misurato, un autore che ricorre alla penna in quei casi in cui sente vibrare fortemente la “res” che accade dentro e, come ancorato a un continuo stato di veglia interiore, dà dimostrazione di voler districare matasse di situazioni indecifrabili al fine di poterne almeno ricavare un minimo di linearità e di comprensione. E questo accade proficuamente a seguito del suo visus poetico che, tra il molteplice e il multiforme, sa cogliere ad angolo giro quegli sparsi elementi oggettivi e incorporei che presuppongono necessariamente un’armonizzazione. E tale excursus interiore, in quella che è la sua estensione, sembra essere regolato da un metronomo, dal momento che la sua attenzione è un continuo oscillare tra taluni opposti da mediare, praticamente tra silenzi e rumori, tra Palermo e Torino, tra il padre/padre e il padre poi figlio, tra presenze e tra mancanze, fino a dare prova, in buona sostanza, di saper gestire una pulsione in funzione cognitiva e mai concitata. Il linguaggio, come dicevo dianzi, è agile, arriva alle corde del lettore con quella pacatezza e con quella densità che attiene alla poesia che sa raccontare attraverso un coinvolgimento emozionale, e che addirittura giunge a restituire innocenza alla complessità delle visioni.
dicembre 2020