Novità poesia: Campionature di fragilità di Melania Panico
12.05.2015
![]() Campionature di fragilità
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autori: | Melania Panico |
formato: | Libro |
prezzo: | |
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Voi, Melania, non siete una poetessa dell’incanto ma della composizione. I pensieri e i versi si dispongono come pietre incastonate, l’invenzione è rapida, quasi rappresa, non amate costruire ambientazioni, descrivete poco, mettete sulla pagina come lungo un muro le pietre, o il pane sul tavolo. Versi che son gesti.
Apparite già armata della sfacciata forza della poesia. Non importa la biografia, ancor meno la bibliografia. Avete già mille e mille anni, siete stata già tutte le poetesse, tutte le eroine, le figure femminili del mito e della storia. E siete nuovissima. Ragazza stupefacente, che anche nello «strascico di cose rapprese» arriva alla «predisposizione alla cura/ ricerca dell’ala guerriera».
Alla vostra integrità della lingua e della potenza immaginativa certo concorre la formazione filologica, la frequentazione con lingue che pur se sgretolate nella storia parlano integralmente all’anima. E quella certa mai del tutto consunta nobiltà – sì permettetemi d’usarla questa parola – non di lignaggio o di schifiltosa vanità, ma dignità intendo di cultura viva che segna la migliore tradizione di poesia napoletana. Ne siete portatrice. Sfacciatamente, e con la soave eleganza che sole possono avere le donne di violentissima anima.
Il libro colpisce il lettore in molti modi e molti punti; nelle poesie costruite con forza da questa giovane donna possiamo riconoscerci in tanti. Ovvero tutti coloro che sanno cosa è una nostalgia di integralità e ne conoscono la ferita.
dalla prefazione di Davide Rondoni
P.S. Il voi con il quale mi rivolgo alla poetessa non è altro che segno di rispetto e di desiderio che in quel tu altri poeti trovino casa e forza.
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Mettere via l’odore della storia
lungo mete di tempo andante
i fumi dei bar accovacciati
gli occhi si chiudono nelle intenzioni
notturne. A fuoco lento la voce ribadisce
l’aria interferisce, commuove.
Le ferite ci dimenticano
nell’immagine stucchevole del caldo
artificiale. Non ha senso declamare
secoli a mente si intersecano
parole stordite nel respiro
vitale tepore calcareo.
Dorso antico sulle case
il tempo camuffa la brina granulosa
cristallo impreziosito di aghi.
Costa di più scrivere
imprimere un non so che di ansante
toccare l’acqua senza spirito di salvezza.
Ansimare meno del solito
una finestra svuotata
sul ciglio di una strada
ci si riconosce.
Ti ho vista avvicinarti
alla gola stretta del fiume stamattina
ascoltavi gesti titubanti
masticavi l’aria intorno allo scialle.
Vedevo risalire gli spiragli frammentati:
restare a galla è la nuova prospettiva.
Non siede in me l’attesa
quel prodigio del sempre tenere
adagiarsi all’umido della storia.
Ora io auspico alla quiete di un albero
alle radici ferme di posa in opera
– la chioma accoglie l’aria senza amarezza –
a non mentire.
Sono questa adesso:
una melodia uguale a se stessa
percorso di una notte pretestuosa
la necessità di ritrovare casa,
riposarsi sui fondi di caffè.