Novità Poesia: Giuseppe Rotoli - Porta luce il dolore
![]() Porta luce il dolore
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autori: | Giuseppe Rotoli |
formato: | Libro |
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I versi, quelli scritti, e i molti altri che l’attento lettore saprà scovare tra le righe, negli spazi bianchi del non detto, hanno patria in fondo al pozzo immenso del dolore. La carrucola geme, la fune è tesa come corda di violino, il secchio va giù a scandaglio e, come rete a strascico, raccoglie sabbia, perle e conchiglie. Il poeta è condannato a questo duro lavoro e ha i nervi tesi e i sensi aperti come un rabdomante in dolorosa attesa di un soffio: «Ci sarà lo Spirito? Il Vento/ Santo ad agitare le stanche/ metafore dei nostri passi?».
Il dolore è il pozzo da cui Giuseppe Rotoli, tra mille singhiozzi, estrae la melodia di questi versi che sono scanditi come per una sinfonia, in quattro movimenti e un dolore. [...]
La fede di Giuseppe Rotoli non è scontata, come è giusto che sia, ma sofferta, tesa sulla corda del funambolo, in un attraversamento di deserti senza sconti per sé e proprio per questo ricchi di sorgenti per gli altri: i lettori. [...]
Ci avviciniamo al mondo poetico di Rotoli con religioso ascolto, scalzi come ad una terra santa che si abbia timore di profanare coi cingolati delle idee chiare e distinte[...]
Il calice amaro è bevuto fino alla feccia prima di dissetare l’anima e, solo alla fine, sull’orlo del baratro, il dolore nero partorisce un chiarore e si accende di una timida luce mattinale.
dalla prefazione di Mons. Arturo Aiello
Vescovo di Teano-Calvi
Non si esce indenni dalla lettura di Porta luce il dolore, l’ultima raccolta di Giuseppe Rotoli. La veste civile, che ha caratterizzato larga parte delle opere precedenti, ora, non trova posto in questa coraggiosa, cruda e lucida investigazione del dolore, su cui il poeta riflette con la forza salvifica della fede. Leggere la prima sezione, Il male nero, è come attraversare una barriera di fuoco in cui l’urgenza del dato biografico si scioglie incandescente sulla pelle del lettore che ne avverte tutta la drammaticità. A spalancare le porte del baratro due eventi terribili: l’insorgere del melanoma nelle carni del poeta e la morte della cara figlia a cui la raccolta – concepita prima della prematura scomparsa – è dedicata.
Il “male nero”, ovvero il melanoma, che si presenta al lettore in prima persona, mortifica e deride tutto e tutti, incapaci di frenare la lenta velocità del suo sciagurato progetto («la carne la mangio così, la mangio/ a micron all’anno»). Le parole irritanti e i toni blasfemi con cui il male narra la sua vita carica di morte, disorientano il lettore che quasi intravede le sembianze del maligno. Un Satana che in un affronto disgustoso accusa, addirittura, il mondo intero in quanto vive costretto a doversi difendere «... da scongiuri/ e dall’ira dei vivi». Nei versi che si susseguono vorticosamente, esso sibila di voler sgretolare ogni tentativo di resistenza, ogni terapia. Avanza traditore nel corpo del poeta, ne disfa la trama, destabilizza ogni ordine fino a confessare in un delirio di nera onnipotenza il funesto obiettivo «io nero e potente sono il dopo,/ non c’è dopo dopo di me». Il terrificante messaggio di morte continua a versare il suo carico d’angoscia nella Via Crucis della seconda sezione.
Nelle successive sezioni, Accende la clausura il cielo ed Esercizi spirituali, si coglie un riattaccarsi dell’autore alle pareti della speranza che sale sino a trasformarsi in un respiro largo, grazie a un verso meno sincopato, più sereno, meno apocalittico, più carico di luce, più denso. E allora seguiamo il poeta nelle sue concrete esperienze di fede, come nel mite e rassicurante colloquiare con le sorelle Clarisse [...]
Il poeta si erge con coraggio nella tempesta della vita per guardare in faccia il dolore, non nasconderlo, né tantomeno esibirlo alla stregua della quotidiana barbarie dei talk show televisivi. Viene svelato, invece, nel tremore della fede per costruire luce e salvezza, e ricondotto alla sua giusta e ineluttabile dimensione umana, in una rinnovata e tenace compromissione con la vita.
dalla postfazione di Giovanni Nacca
dalla sezione
Il male nero - La vittoria del melanoma?
1.
Con me la trama del corpo
si fa polvere, polvere impazzita,
polvere bruna, che dà sgambetti
alle lancette dei giorni, che soffoca
i vecchi concerti delle voci.
E mi impianto
qui sulla carne bianca, qui
per gli inverni che ti concedo
senza lasciare la presa
e dando veleno alla sapienza
dei luoghi, da farti straniero
ovunque, anche negli infiniti
paesaggi dell’anima.
5.
«È terribile, è terribile»,
sento imprecare dalla lunga arteria
del cuore. Terribile che sia nato?
Non si gioisce al primo vagito
del neonato? Al brivido di un
nuovo segno, di un cerchio imperfetto?
Terribile è per me,
appena al mondo e già senza padre,
orfano circondato da scongiuri
e dall’ira dei vivi.
Eppure a te porto la semplice
poesia della morte, ti dono
silenzio e accenti, ritmi
e pause sacre, sillabe nere
con voce che cambia nomi
a tutte le cose, a tutte le storie.
Dalla sezione
Accende la clausura il cielo
1.
Non si barcamena la clausura
tra il bene e il male, la clausura
è storia di misericordia.
La clausura non sciupa le ore,
né galleggia sui lividi giorni,
non li dissipa in frastuoni
o in corse affannate, né li precipita
nei corpi insensati, nei fendenti
allusivi. No! Le monache nel calmo
movimento delle mani e delle labbra
raggiungono il mondo.
Con i semplici versi della pazienza
del gesto sanno farsi un lungo
racconto, racconto
dell’umano respiro.
Dalla sezione
La pedagogia del dolore
*
La morte è mia intima nemica,
mi accarezza, lusinga, solletica,
mi maltratta e mi flagella
e rimane qui, dentro le
stanze del cuore gelato. Ha
saputo colpire spietata
con lame di cristallo, con il cristallo
del dolore. Contro Elisabetta.
Ma Eli non ha risposto
agli attacchi, agli affondi
acri della strega, alle fauci
della divoratrice
delle sorti, e come una foglia
di pesco, come la foglia che ha
dato frutto, sì, Eli ha
vinto la sua arroganza, le sue
parole nere e si è consegnata
dolce e mite all’Ora Infinita,
al Suo Signore fedele.
Pasqua
Ora la morte già vista regina
con tutto il suo nero esce dal tempo
e la rovina che lei minaccia si scioglie
nell’acqua di luce; scompare l’abisso
delle povere cose, delle anime minori,
del ricatto del buio,
del niente nell’oltre;
c’è già la differenza
dentro la Pasqua; non c’è il pulviscolo
del dolore né bocconi di terra tetra né
moncherini di giorni bloccati; c’è
la luce che non svanisce, i diademi
del sempre vedersi, le bocche d’argento
e di sole.
Pasquando e ripasquando
l’uomo chiama
e contento
Dio risponde.
***
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