Novità poesia: Isabella Panfido - La grazia del danno
15.05.2014
![]() La grazia del danno
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autori: | Isabella Panfido |
formato: | Libro |
prezzo: | |
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La parola poetica ha medicato un danno antico; la perdita quale premessa non solo non preclude ma favorisce uno sguardo capace di raccogliere i segni dell’esistenza, il vuoto diventa contenitore per un bene essenziale.
Se il libro di esordio Casa di donne circoscriveva un luogo densamente femminile, questa nuova opera misura uno spazio attraversato da presenze/assenze maschili.
Il nitore dell’osservazione che si sposta osmoticamente da fuori a dentro, e viceversa, conferisce una luce che esalta colori e sfumature della narrazione, rischiarando così anche le zone più buie.
Il nitore dell’osservazione che si sposta osmoticamente da fuori a dentro, e viceversa, conferisce una luce che esalta colori e sfumature della narrazione, rischiarando così anche le zone più buie.
Ho cinto l’aria di pietre
per lapidare la tua ombra
ma la forma della tua lingua
è in salvo nella mia bocca.
Non ho altre parole che queste
nostre.
Hanno scelto malgrado noi.
Hanno detto la gioia
dettato il danno
taciuto la maledizione.
Prego per te, perché la natura non sia giusta
mentre in questa domenica di festa, scavo
una buca per il rosaio sarmentoso
che fiorirà con il tuo nuovo luglio.
Vango più a fondo
ma più larga si squarcia l’erba prima,
a fatica si spezza il legame della terra.
Sale l’odore caldo di una dissepolta intimità
e insieme nello sterro
piccole pietre, terriccio infecondo.
Recido l’ultima radice del cedro
morto in autunno
sanguigna superstite del danno.
Scavo più a fondo
che più vasto sia lo scasso necessario
perché fiorisca questo rosaio dei tormenti
sul fragile tutore dell’impianto.
19 marzo, san Giuseppe soccombente
Dopo l’ultimo sole nel mio inverno
resta imbrigliato dietro le palpebre
un grumo palpitante
che non è luce
ma come una ferita
dona luce alla carne.
L’abbaglio nella temporanea cecità
illumina il fondo
intatto
come l’innocenza di una bestia
e svela inattesa la grazia del danno.
L’odore animale dei sambuchi
che parla a te di botanica,
nel modesto lembo di selva
ingemmato
di agri ristori per turisti
a me, che come un cane
inspiro questa fremente
traccia di gioia
per reprimere la noia
delle nostre sere assennate,
dice che sono tornati i naufragi
nell’aria impazzita di odori
che ora nel rovescio del tempo
il danno ha centrato la bolla.
Giorni di mezzo inverno e vita a mezzo.
E meno chiedo più io sono grata
delle mani che bastano al giorno,
degli occhi per il limite del passo,
della lingua che succhia le parole,
delle suole consumate sui sentieri,
della pelle che conosce il mare,
del buio di ieri, della luce fiera di ora,
del nome di mio padre,
dell’essere madre.