Novità Poesia: Massimo Daviddi - Il silenzio degli operai
![]() Il silenzio degli operai
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autori: | Massimo Daviddi |
formato: | Libro |
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Si sa che non esistono equivalenti visivi di una compagine verbale, tuttavia i nuovi testi – parte in versi parte in prosa – che Massimo Daviddi qui ci regala fanno pensare ad altrettante acqueforti, a certo secco e vigoroso tratteggio in bianco e nero. Ne derivano compresse “incisioni” di gusto quasi cubista, capaci di evocare moltissime e correlate cose o circostanze [...]
Ecco dunque la persistenza, ora inquietante ora rassicurante, degli oggetti e la loro singolare autonomia rispetto al nostro esserci e pensare, perché quelli «non sanno cosa sia l’obbligo della ragione»; la forte connotazione dello spazio fisico, spesso costrittivo, entro cui si stagliano i nostri gesti, e (coerentemente) la nostra parentela con la terra; la pregnanza di ciò che di primo acchito appare minuscolo, troppo elementare o superfluo, ma che a uno sguardo più attento si configura come denso cosmo; le virtualità celate in ogni particella del tempo («ogni giorno sembra avere una potenza») e la percezione, anche tormentosa, dell’hic et nunc; l’affiorare di parole che, pur nella loro casualità, ci rendono più vivi; la volontà strenua di rilevare, precisare, salvare quanto accade; le tracce della violenza urbana e il nostro costante – ma per lo più inconsapevole – correr pericolo («si vive così [...] sempre in agguato») [...].
E dunque le pagine de Il silenzio degli operai (mai egocentriche, bensì sollecite di un destino comune) ci dicono la complessità dell’esperienza, la sua irriducibilità a formula.
Leggere un libro così ci rende più consapevoli, ci fa maturare.
dalla presentazione di Tiziano Rossi
dalla sezione LA SUPERFICIE
Appunti
I
Sono stato sempre con voi, ero con voi anche quando non mi vedevate, ancorato a un punto di vento, a una luce; sapevo quasi tutto, la macchia fuoriuscita dal pavimento, la vostra lamentela, il sonno venuto dopo pranzo, quanto si è già visto al televisore, poi molte cose senza ragione.
Vi amavo e detestavo, avrei voluto dirvi di aprire quel portone, uscire, andare in giro, ma le ore stavano dentro come animali morti, degli acquitrini lucidi solo quando piove e niente basta a far pensare sotto a una vita.
Con penitenza stavo rassegnato nella visione, ma una donna, una donna sola, lanciava qualche messaggio dal balcone; era la voglia di innaffiare un fiore, di sbattere dei panni contro il sole.
dalla sezione TRE E ALTRE VITE
I cani di Oberglatt (la danza dei pitbull)
Hanno il teschio a mandibola,
anzi la mandibola è ovunque,
se li vedi sono questo, teschio e mandibola,
fauci slargate,
ogni muscolo non è mai in se stesso,
chiude e controlla i movimenti
li dilunga in rete, li sviluppa.
Un congegno che sta insieme per essere qualcosa di vivo
ma che trova la sua ragione nel fuoriuscire da sé,
nel colpire chi intorno va e si muove;
una traiettoria proibita, un nugolo di odori e sentori
dove tutto è iniziato.
dalla sezione PERIFERIA NOSTRA
Il silenzio degli operai
I
Se sali li vedi, sono formiche aggrappate al corrimano
sono figli e padri, mamme e zie, nipoti; non c’è una fine visibile,
dopo l’ultimo piano sembra che la casa prosegua all’infinito
e le luci vadano verso il solaio che però non si vede,
che lascia ampia traccia di sé per l’aria e la polvere.
Anche se non nelle stesse case, siamo cresciuti insieme,
era il pallone divorato con le mani e coi denti,
l’odore di cuoio nell’erba e una frusta di piedi e ginocchia,
il cranio in divenire, la festa.
II
È successo tutto di fretta sopra il portone,
lei ancora svestita, lui con le mani dentro, ma appena;
poi, c’era la città che andava avanti e consumava
e di lei, negli anni, il profumo rimasto chiuso
in qualche spiraglio, una zona del balcone,
due finestre e la cucina, una stradina creatasi
contro il divieto di calpestare le aiuole,
un grammo d’erba, forse meno.