Novità poesia - ZENIT POESIA - estratti
28.09.2015
Zenit poesia - Progetto <40
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autori: | |
formato: | Libro |
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a cura di Maurizio Mattiuzza e Stefano Guglielmin
vedi regolamento iniziativa
AUTORI SELEZIONATI
(in puro ordine alfabetico)
- Linda ANSALONE (1979) – Salerno (vive a Milano)
- Riccardo BENZINA (1988) – Valenzano (BA)
- Guido CUPANI (1981) – Pordenone (vive a Portogruaro)
- Carmine DE FALCO (1980) – Pomigliano d’Arco (NA)
- Gennaro DE FALCO (1976) – Napoli (vive a Milano)
- Alessandro GRIPPA (1988) – Caravaggio (BG)
- Sergio PASQUANDREA (1975) San Severo (FG) vive a Perugia
- Anna Stella POLI (1990) - Piacenza
LINDA ANSALONE
Un dire sempre in viaggio anche quando sosta e narra il dolore, forse è questa, in estrema sintesi, la prima cifra che balza all’occhio nel lavoro in versi di Linda Ansalone. [M.M.]
Blocchi di partenza
I treni
contenitori silenziosi di respiri.
La mano di mio nipote
a spezzare l’aria
come piccola bandiera.
Lui non conosce le mie esplosioni
non sono visibili
sull’asfalto nessuna macchia nera.
Morti, feriti
galleggiano nel buio dello stomaco.
Perdo il mare
dal finestrino
– ma so
che attenderà i ritorni.
Ci furono
i nonni con le bombe
nelle tasche
appollaiati sui porti,
a spiare
cosce sode sotto le gonnelle.
E mia madre – dico –
chi la tratterrà
sull’uscio?
Che i suoi occhi
diventino fari.
RICCARDO BENZINA
La poesia di Riccardo Benzina punge come un meccanismo aperto, squarciato alla vista alla maniera di certe macchine da museo. [M.M.]
Riprovo a fare il calcolo
dei giorni, ma non dà resto
l’età adulta, il risultato
mi pare incomprensibile,
sballato. So che seguo
una corsia più lenta,
da sempre incolonnata.
Si attende messaggiando.
La coda resta ferma, io
ritardo, di molto, a nulla
valendo questo battere
sull’orologio l’indice.
GUIDO CUPANI
Guido Cupani pare stilare nei suoi versi, svolti spesso in una misura precisa, una sorta di contabilità di quel vivere postindustriale fatto di alzate all’alba, scompartimenti affollati e catene di mail... [M.M.]
Giorno, eri tutto nuovo stamattina,
avevamo stretto un patto, eccoci ora
a fare i conti al termine di entrambi,
io la metà di me, tu arrotolato
nello zainetto, un maglione già liso
pronto per il bidone della Caritas
Qualcosa (chissà cosa) è andato storto
nel percorso da letto a letto, meglio
era non incontrarsi e invece guarda
come me ne sto qui a sbrogliare fili
per l’indomani, quando ci vedremo
ancora e stringeremo un patto ancora
e tu non sarai tu, ma sarai un altro
e, già lo sento, sarò un altro anch’io
CARMINE DE FALCO
De Falco non giudica, non fa del moralismo, disegna piuttosto una mappa del buio e della luce cresciuti dopo la guerra degli anni Novanta, della lotta che buio e luce combattono ancora oggi sui muri e sul popolo serbo. [S.G.]
CITTABIANCA
A questa terra s’aggrappa
Cittabianca. Dove le strade scrociano
tu non ribatti, ci tassi
dei tuoi palazzi sbeffeggiati
che piaghe non coprono dispute
tra architetti non muovono, corpo di città osceno
burocraticamente non assolto quando ti illumini
dell’azzurro più denso nel cielo e del più
candido velo terreno: è il meglio dell’inverno
che persiste senza cattiveria, che cede teneri raggi
anche alla mano che si fredda nel ghiaccio.
Cittabianca,
è un po’ alla volta che ti mostri
con tutto il peso prodigioso della storia
Mi spingi al prato verde che racchiude
i sogni e le visioni irrealizzate
obsolete dal procedere del tempo
quelle cose che restano a metà
tra il futuro di ciò che divenivano
e il passato di ciò che mai saranno
smagliature e fratture delle ere
rimaste scollegate alla realtà
[...]
GENNARO DE FALCO
I suoi personaggi sono in massima parte oggetti, situazioni al punto che, in queste poesie, pare spesso di ascoltare un mutismo degli umani. Un’assenza imponente e metaforica che non lascia altra scelta che una presa d’atto, di coscienza. [M.M.]
Italia ’90
Lo dicevano tutti
che i Tedeschi erano i più forti,
che palla al piede facevano paura.
Lo ripetevo anch’io,
che di calcio non ne capivo niente.
Come ripetevo le notizie sui giornali,
caduto il muro, cambierà la Storia.
Ma tu non t’illudevi,
i goal di Matthäus ti lasciavano indifferente,
come le lattine nuove di Coca Cola.
Ridevi, irriverente,
dei crucchi che facevano festa
e del neocapitalismo dell’Est.
«Frammenti di muro» ripetevi a tutti,
«si venderanno per corrispondenza.»
ALESSANDRO GRIPPA
Modulando una metaforicità leggera, che dà colore e immagine alla dimensione colloquiale del testo, Alessandro Grippa ci parla del quotidiano visto con la lente di chi cerca l’universale nel particolare. [S.G.]
Interno, mattino
a mia madre
Succede che passi la luce del mattino nella casa.
è una luce di tempo fa ed è la casa di qualcun altro.
I termosifoni sono accesi. La voce di Rudi è orizzontale.
Abbaia a ogni auto benché la strada sia vuota.
Passa la polvere sul dorso del cipresso,
ma non nel mio giardino; io la guardo sollevarsi
e indietreggiare. Metto il pentolino sulla fiamma.
Forse il latte ci potrà salvare. Ci aiuterà a guardare
nella serratura della notte, dove i colori non ci appartengono;
portando via con sé il rumore grigio dei campi,
una forma della pazienza.
Credo ci siano cose che appartengano a tutti,
il freddo sulla pelle dell’arancia, la sua ruvidezza,
o il tormento per quel colore che una volta fatto giorno
non si può raggiungere, o recuperare.
SERGIO PASQUANDREA
L’unità minima di Sergio Pasquandrea è il verso, quella stringa di senso che lui ci srotola piana, da accostare a quella successiva affinché sia chiaro il tempo in cui la Storia esegue i suoi sacrifici: è una linea che si spezza e in fondo alla quale occorre fermarsi a respirare. [S.G.]
Il posto delle betulle
Chi era partito con le chiavi in tasca
ora ha la bocca piena di ferro
nella pancia un gomitolo d’ife
avevano corso senza gioia
eppure era la stagione delle castagne
si capiva dai ricci aggrappati alle caviglie
ci crederesti che si può sentire tanto freddo
sotto il sole d’autunno la pelle
è già brina si è rotta tutte le unghie
poi la terra è colata a separarci
e le mie ossa cominciano a farsi nere
ma voi guardate questi cristalli d’argento
io ho visto le cime piegarsi poi più niente.
ANNA STELLA POLI
Il verso lungo, a volte lunghissimo di Anna Stella Poli pretende autonomia semantica, si vuole frammento di un discorso amoroso per natura necessariamente frammentario. [S.G.]
Figurati l’amore
Non ho mai capito dove finisce
l’amore che non usi. Quello che ci sarebbe pure,
ma tu.
Vorrei, da brava massaia,
usarne gli avanzi per le polpette,
concimarci le piante. Ridistribuirlo
ad amanti meno fortunati, di quelli che fanno fatica
ad arrivare alla fine del matrimonio.
Rimpastarlo, venderlo di seconda mano,
placarlo, darlo al gatto, alle galline.
A pensare che finisca così in niente,
non so, mi mette freddo dentro.
– Se non si può buttare il pane,
figurati l’amore.