R. Favaron su Muti
![]() La bellezza del nero
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autori: | Daniela Muti |
formato: | Libro |
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Leggendo La bellezza del nero ricorrono più di una volta i seguenti termini: tramonto, sole, osso, ossa, cielo, terra, cuore. E così mi sono chiesto: e la luna che fine ha fatto? Già, la luna è quella che parla. O qualcosa che ha in sé lo stesso valore o ruolo alchemico. La voce che si sente-legge, ne La bellezza del nero, è la voce di un’entità oscurata o, se si vuole, dell’altra faccia della luna – solo che, a mio avviso, le due facce (quella che si offre “simbolicamente” e quella che si nega) sono in par tempo speculari in negativo, così come nelle dissociazioni in cui possono coesistere personalità in conflitto nello stesso individuo (Tolstoj, in Resurrezione, ha scritto che non ci sono uomini solo buoni o solo cattivi, ma uomini più buoni che cattivi o più cattivi che buoni).
Digressione a parte, leggendo il libro di Daniela Muti, mi è parso di imbattermi in una Amelia Rosselli rediviva. La prova? Ecco una strofa inequivocabile: Adesso li vedo i miei fantasmi/ Maestri dall’aria sottile/ Errano di stanza in stanza/ scivolando tra spazi ventosi. Versi potenti, che nascono da una lucida visionarietà – rara, molto rara anche tra i poeti più celebrati, per cui è stato quasi con stupore che ho colto l’eco dell’Amelia Rosselli in quella di un’altra voce capace di perpetuarla e rinnovarla.
Credo che l’autrice di Milano sia da considerare, attraverso La bellezza del nero, come il felice esempio che si distacca da una poesia che si appaga di se stessa, cosi che ci pare di sentire all’opera, al di là di ogni fraintendimento, gli attrezzi del manovale, quella pala e quel piccone grazie a cui, junghianamente, il poeta esercita la sua arte.
Renzo Favaron