R. Salvia su Santoro
![]() Sulla strada per Leobschütz
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autori: | Daniele Santoro |
formato: | Libro |
prezzo: | |
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Recensione di Rosa Salvia a “Sulla strada per Leobschütz”di Daniele Santoro
Quale migliore occasione, nella ricorrenza del Giorno della Memoria, segnalare al pubblico dei lettori la raccolta poetica di Daniele Santoro, dal titolo Sulla strada per Leobschütz (La Vita Felice, Milano 2012). Bruciante testimonianza dell’assurda tragedia dell’olocausto, il libro è una originalissima scoperta letteraria in quanto la consapevole verità storica diviene una metastorica, esistenziale e veemente denuncia di eventi che non vengono narrati, ma descritti attraverso il ritmo asciutto e incalzante dei versi, lasciando apparire, dietro la più disperata lotta per la sopravvivenza, un caos selvaggio e senza traccia di Dio, una cupa insana violenza fine a se stessa, o forse anche un ordine cosmico e misterioso che rovescia l’orrore in stupore (e viceversa).
Quella di Santoro è una voce senza fronzoli, efficacissima e radicale, che trae la sua forza dalla passione e da un vivo senso della composizione. Egli insiste molto sulla carnalità delle immagini che si susseguono crude e immediate, tutte volte a bruciare nella mente del lettore come corrispettivi della sofferenza umana: «lordi di feci, orina, sangue mestruale / i corpi ancora caldi accatastati / verso l’ultimo respiro […]». Interessante ancor più perché si tratta di una raccolta che si inserisce in un dibattito sempre aperto, un libro che ci vuole lettori e, al tempo stesso, parti in causa di un genocidio che rivela la piccolezza di qualsiasi spiegazione storica o riflessione morale, di un genocidio in cui il reale si dissolve in frammenti lividi e insensati, mentre gli interrogativi esistenziali risorgono, assillanti e ossessivamente privi di risposte. Peraltro Santoro, come scrive Giuseppe Conte nella prefazione al libro, si è documentato per scrivere, e riporta i testi a cui si è rifatto in calce al libro. Nel narcisistico carosello di molta pseudo-poesia contemporanea, questi componimenti che ci spingono a riflettere, a interrogarci sulla follia umana, sul male come forza antitetica al bene, che può annullarsi soltanto attraverso la memoria e la pietas, sono piccole perle di saggezza: «Calma / la sua preghiera, a sera, viva fiamma / illuminava il cuore / e lo stringeva forte. / / Peccato che durasse poco lo stupore / se dalla branda il tonfo della morte…».
Il linguaggio è spesso colloquiale, documentario, ma talora animato da tensione lirica come in questi versi dedicati ai bambini:
anche i bambini
anche i bambini aspettavano la morte
intanto che aeravano le Camere
avevano i piedini congelati
e sotto le percosse delle guardie
le mamme si inchinavano a staccarglieli da terra
…
poi insieme entravano tenendosi per mano
La pazza sulla strada per Leobschütz
era poggiata a un tronco d’albero e cantava
stringendoselo al petto, ancora strofinandogli
la punta del nasino bianco
come la neve, come la sbandata
carovana dei morti (pure loro)
allora lei s’alzava in preda a gioia e diceva
“guarda, a mammina, guarda il carosello”
In altri componimenti il linguaggio si eleva a toni feroci, urticanti, dolentissimi, senza fughe liricizzanti, piuttosto inclinando all’epica, con una sorta di energia catartica che ribalta il male nel momento stesso in cui viene descritto:
Non dimenticare
voi non sapete un uomo che significhi
sfinito, sfilare nudo a passo militare
il piede congelato nel suo zoccolo di legno
malgrado la diarrea gli coli per le cosce
o gli dolorino i testicoli per un edema da digiuno
sfilare invece, addirittura correre
quando sarà il suo turno, non dimenticare
di togliersi il berretto, non guardarlo in faccia
nuda non ha reagito
lei si è lasciata fare, nuda non ha reagito
ma sonagliere d’ossa, senza un grammo
d’occhi, sfinita per la fame, indifferente.
quelli dopo avere fatto, hanno tirato su
le brache se ne sono andati in ghingheri
ridendo sghignazzando dopotutto
lo sfizio era costato a ognuno una patata.
il paesaggio
certo non basta la Crudeltà degli uomini
aggiungi l’ignominia del paesaggio: la calura
che spacca pure i sassi delle lacrime, la neve
le nere nuvolaglie, il puzzo tutto il giorno dei cadaveri
un fiore te lo stroncano al suo nascere
e un albero non ci sorprende per bellezza il volo
di un uccello altissimo sugli orizzonti
fiancheggiando il lager delle donne
appena dietro il filo, la catasta
nuda dei corpi (un tempo femminili, caldi)
il velo disonesto che copriva i visi
in noi lo strazio che allentava il passo; non sapere
se madri mogli erano, se figlie sono
Rosa Salvia