Rosa Salvia legge «Notizie da Patmos» di Fabrizio Bregoli
![]() Notizie da Patmos
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autori: | Fabrizio Bregoli |
formato: | Libro |
prezzo: | |
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Fabrizio Bregoli, laureato in ingegneria nonché ingegnere di professione, appassionato di matematica (soprattutto l’algebra) e di fisica, si muove sulla scia di quello che potremmo definire una sorta di nuovo umanesimo che pone insieme le due passioni: la scienza e la poesia, con esiti particolarissimi e originali.
La più recente raccolta Notizie da Patmos si snoda in nove sezioni fra cui “Digressione quantistica” che per chi ha poca familiarità con il linguaggio scientifico, può riuscire di difficile lettura e interpretazione, ma in perfetta coerenza con un’intera parte della ricerca poetica contemporanea che vede nelle parole della scienza una possibilità di rinnovamento della poesia stessa.
L’atto linguistico rimanda all’altrove come paradigma verbale che accentra su di sé la diaspora delle parole intese come nome delle cose che si fissano nella loro mutezza. La lingua della poesia è fondata sulla lingua nominale dell’uomo che si snoda attraverso il legame fra poesia e scienza ed è perciò nient’altro che l’emblema di tale coraggiosa trasposizione attraverso la carica analogica e suggestiva e una sintassi morbida e franta. […] Comprendi davvero d’essere lingua / quando il futuro diventa ipoteca, / passato da riscrivere, scandire / polso a polso la ruggine dei chiodi. // La poesia non cambia nulla / è il nulla che la cambia. La fa possibile. (pag. 58)
E’ il graffio solitario del Nulla, di quella luce particolare, finitima, da giorno morente già dentro la notte, che ne rivela la realtà profonda, emozionale, in una disponibilità all’oltranza e alla visione; è
lo sdoppiamento, il proiettarsi di passioni in fantasmi, non escluso il fantasma dell’autore stesso: […] Fabrizio, peggior fabbro, desinenza / più incline al precipizio / di una fine attesa, che all’evenienza / di un nuovo, ignoto inizio.) (pag.41)
La singolarità di tale sperimentazione sta poi nel passaggio dalla metafisica alla fisica (che mi rimanda per certi versi al poeta lucano Leonardo Sinisgalli), nella definitiva liquidazione della poetica ermetica, del canto e dell’eloquenza, nell’inclinazione costante verso l’esprit de géométrie e nell’avvicinamento a forme più razionali ed epigrammatiche.
Trascrivo a riprova di quanto affermo la poesia Heisenberg: L’imbroglio è sempre la luce, quel suo / scalfire i corpi, sbozzarli dal nero / ordinarne regole, spazi. / Travolgerli nel loro buio esatto / con la sua lama buona, / obbligare i volti a intridersi. / Illuderli che siano conoscibili / a misura di un noi inesplorato, / fingere emendabile la frattura / l’indeterminazione sanata. (pag.48)
Si scompagina in questo libro (nato in una sua Patmos tutta pagana) la finzione di mimesi che tiene insieme parola e realtà, si compie quel processo di disgregazione riflessa della lingua che, come per Andrea Zanzotto, si identifica con la disgregazione della realtà; né è un segno pari al logorarsi del corpo. Si tratta di attraversare e dilavare nella parola il corpo del mondo al fine di ghermire quell’altrove che rimane ad ogni modo un’entità noumenica per dirla con Kant. (E paradosso di questo libro […] sta nell’incapacità di annunciare alcuna rivelazione.) (pag. 91)
Gli interrogativi rimangono assillanti e ossessivamente privi di risposte. (Sempre e solo un’ipotesi, un respingere / laterale, come fosse un intruso / a porgere la mano, osare spazio. / Esige questo, uno scendere a patti, / la sua sintassi opaca, risoluta. / Basta poco, quella macchia sghemba / che s’arremba alla pelle, come un fiordo / buio appeso alle labbra. O un affiorare / lento, come da una matrice antica, / di un conto che non torna, / un ammutinamento delle cellule. / Perché in sostanza siamo quest’estrudersi / del corpo, ambire a senso, direzione / a una misura che si compie. / Ardire un passo in più, un verso oltre.) (pag. 81)
L’esercizio poetico investe con latente autoironia e riserbo materiali di analisi privata ed esistenziale, trattandoli con duro disincanto e con la caratteristica antieloquenza. […] Quell’idea / di un padre che sia nome condiviso / colpevole soltanto del suo amore, / sola cattività che rende liberi. // E la bugia, specialità del cinema / di spacciarsi per vita compiuta. Intera. / (Soltanto un figlio può / supporla vera.) (pag. 61)
Il monologare acuto e tagliente si piega alla pochezza del reale anche attraverso il ricorso ad ambiguità semantiche necessarie però ad una più alta riflessione sulla lingua. Le singole tarsie si risolvono quasi tutte in lacerti di pensamenti, in enunciazioni tendenzialmente brevi e aforistiche, occultando sensi e parole fra le pieghe di un ‘labirinto cerebrale’ che mi rimanda alla prima opera in versi Laborintus di Edoardo Sanguineti.
Colgo a tal proposito anche nella poesia di Bregoli la necessità di un nuovo “inselvarsi”, opponendo all’andamento ascensionale dell’itinerarium dantesco, il movimento orizzontale nel labirinto che conta come emblema di desublimazione.
Non più il caldo io lirico che si perde e si estranea, ma un io più cerebrale e investigativo che percorre “una lingua circolare” come tutto interno è il Laborintus sanguinetiano, al fine di tirare fuori, da quella che Bregoli chiama (Una lotteria del vuoto), una vis poetica a cui valga la pena restituire la voce; perché “desublimare” vuol dire […] Sovvertire gli assiomi, curvare / e avvicinare i mondi; in fondo, a questo / serve la poesia, quella sua elementare / geometria ellittica, / a conferire campo e gravità / alla parola, attrarla al suo silenzio. / Fulcro minimo di un comune inizio / per rendere l’assurdo praticabile. (pag. 78)
Chi legge questa raccolta troverà sempre in ogni pagina questa duplice componente di Fabrizio Bregoli: annusare il visibile, cercare con determinazione di andare oltre.
Con l’assolutizzazione del Vuoto egli sa di sconvolgere, e allo stesso tempo conserva una purezza ingenua, fa della sua poesia, misteriosa e necessaria, il suo alter ego e vi si lascia fluire nel dubbio sapiente che è più importante farsi domande che trovare risposte. E la poesia non è solo la chiave di accesso alla visione di un attimo che si condensa nell’intuizione della realtà e dell’oltre in essa contenuto, è anche profonda consapevolezza della fragilità umana. Quando s’addensa, dove / trapana – è un vuoto. Dopo (dopo, quando?) / in quell’altrove, un oltre: / la resa necessaria, un / silenzio sull’arco della parola. / Celato in quel mai, un vai / il suo bianco fragilissimo. La neve / delle sue mani.
*
Ho sempre avuto il tarlo delle scienze esatte. Stechiometria, grammatica, calcolo differenziale, logica formale. E l’algebra. Soprattutto l’algebra.
L’algebra nasce per ampliare l’orizzonte dell’aritmetica, limitata alla teoria dei numeri e alle operazioni più elementari fra interi. Vi introduce la complessità sotto forma di variabili, polinomi. Equazioni, spazi vettoriali. L’algebra assolve a questa funzione correttiva, a integrare una mancanza fra mondi isolati, divisi. Saldarne il crepaccio, colmarne il gelo.
Algebra: dall’arabo الجبر (al-ǧabr) che significa “unione”, “connessione”, ma anche “aggiustare”, “rimediare”. Le strutture algebriche – come matrici lineari, gruppi finiti, campi di Galois – rispondono all’idea di un’unione praticabile, per costruire universi misurabili. Docili.
Uno spazio dominabile. Finalmente nostro.
Una paternità restituita.
L’algebra è, nel suo stesso atto costitutivo, anello di congiunzione. Arte della riparazione.
(Come la poesia)
ISOTOPI
A volte penso a noi come a due isotopi
diversi solo per peso specifico
stesso ceppo, radice condivisa.
Come deuterio e trizio, le varianti
dell’atomo d’idrogeno, costretti
all’avvicinamento
nel confine di uno spazio comune,
a vincere la nostra repulsione
in un’unione nuova, luce intatta.
Una fusione controllata, senza
scorie. Energia pulita.
Il nucleo primo di una stella minima.
(Fisica di un’impresa non riuscita)
GEOGRAFIA DI CONFINE
Avevi la passione dei confini
tracciare fronti di demarcazione,
la loro geografia compiuta. Solida.
Per questo t’affidavi alle cartine
quella certezza di valichi e passi,
ciò che serve a dare ordine alle vite,
fosse anche un limbo nel deserto, un muro
una zona demilitarizzata.
A noi non è servito confinarci
ciascuno in un cordone sanitario
perché c’è sempre una metà che manca,
l’amore che rimane impronunciato.
C’è bastato credere
franca una terra di nessuno, noi
intatti territori d’oltremare,
colonie di un’uguale solitudine.
NOTIZIE DA PATMOS
Comincia tutto ripetendo un nome
da un buio prossimo, colpo di coda
di qualche creatura d’abisso. Dopo
è la stagione del balbettio – certe
muschiose lallazioni – infine frasi
fatte, proverbi storpiati, eserghi
o falsi. Rovine che non sorreggono.
Comprendi davvero d’essere lingua
quando il futuro diventa ipoteca,
passato da riscrivere, scandire
polso a polso la ruggine dei chiodi.
La poesia non cambia nulla
è il nulla che la cambia. La fa possibile.
ISTRUZIONI ALCHEMICHE PER IL COMPOSTAGGIO
Raccogliere e impilare sfalci d’erba,
gusci di noci, fondi di caffè
filtri del tè, ossa, altre immondizie buone.
Rivoltare due o tre volte l’anno, piano
per riattivare il ciclo del silenzio.
Di quando in quando innaffiare, aggiungere
qualche altra scoria, emersa da uno specchio
dimenticato. Pressare a dovere
come a reprimere un singhiozzo buio,
un ricordo di frodo.
Poi maturare a fondo, concedere
varco al tempo, alla sua lama gentile.
Talvolta – dopo un terremoto d’anni –
vi affiora una poesia.
RIMEDI NON EUCLIDEI
E crederlo possibile violare
il quinto postulato, immaginabile
un altro spazio. Crederle capaci
almeno di tangersi, vite –
come le nostre – parallele,
rette che deragliando s’intersecano
in un punto appena oltre l’invisibile,
nel bene di una falla necessaria.
Sovvertire gli assiomi, curvare
e avvicinare i mondi: in fondo, a questo
serve la poesia, quella sua elementare
geometria ellittica,
a conferire campo e gravità
alla parola, attrarla al suo silenzio.
Fulcro minimo di un comune inizio
per rendere l’assurdo praticabile.