S. Ritrovato "Punto. Almanacco della poesia (2014) vol. 4" recensione a "Lingua di terra" di R. Niro
![]() Lingua di terra
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autori: | Raffaele Niro |
formato: | Libro |
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Raffaele Niro, Lingua di terra, pref. di Maria Grazia Calandrone, post. di Irene Ester Leo, La Vita Felice, Milano, 2013.
Raffaele Niro, nato in Puglia nel 1973, è sicuramente una delle voci più interessanti della nuova generazione di poeti italiani, e il fatto che io abbia la fortuna di seguirlo da sempre mi aiuta forse a comprendere da un’angolazione speciale la sua nuova raccolta, Lingua di terra, una sorta di ‘esordio’ a livello nazionale, dopo una serie di prove di plaquette e quaderni che per il loro taglio editoriale (ma non estetico) sembrano collocarsi su un orizzonte più modesto (e tuttavia non meno interessante). Potrebbe essere questo il primo elemento su cui riflettere: il meritato approdo, per Niro, alla sponda milanese si annuncia all’interno di uno scenario, sì, ‘periferico’ (quello pugliese, di cui ha appena delineato il ricco e articolato disegno Salvatore Francesco Lattarulo nell’antologia Verso Levante. Un secolo di poesia pugliese (1913-2013), Stilo Editrice, 2014), ma di straordinaria vivacità culturale. In tal senso, non poteva darsi titolo più sobrio e nello stesso tempo più indovinato di Lingua di terra, per cui Maria Grazia Calandrone ha richiamato nella sua nota introduttiva l’icona della Finisterre novecentesca (a cominciare da Montale): con una variante che merita però di non essere trascurata, ed è il superamento di quel nobile sottinteso metafisico che si annida nell’immagine tràdita, in direzione di una maggiore concretezza geografica e linguistica che appartiene al vissuto dell’autore (come si evince dalla poesia Stranieri a se stessi: «la terra trema di paura / ogni volta che muore una lingua / perché è come perdere / un amante capace d’interpretare i silenzi / dopo secoli di incomprensione…»), e oserei dire non solo al suo vissuto: ha ancora la terra una lingua per dirsi e per interpretare se stessa? quale lingua può intendere meglio la terra di quella della poesia? Sono interrogativi, dubbi, che percorrono l’intero libro di Niro, e il suo lavoro precedente, sia per il ritmo particolare del verso che non ama misure stabili, sia per la sostanza immaginativa che ne tesse la forza (e come esempio mi piace citare la raffinata allusione ungarettiana che illumina Nulla d’oro, testo di apertura dell’ultima sezione, Acquaviva: «banale / come acqua / che scorre in un letto / e porta vita ai detriti / è quel nulla d’oro / che capriola nel petto / e rinvigorisce / sorrisi d’amore / impolverati e sgualciti»). Pertanto mi preme mettere in risalto nel titolo della raccolta quella polisemia semantica, intesa non a persuadere il lettore della bontà di una scelta, ma a muovere il suo sentire verso una rinnovata fiducia nella parola. Ed è qui che si innesta un secondo importante elemento della poesia di Niro: il suo peculiare orfismo, non – beninteso – di ascendenza mitomodernista, cioè latamente spiritualista o nostalgicamente lirico, bensì fisico, materico, pure nella sua torsione metaforica a volte ermetica, dal momento che rimette al centro del discorso ogni parola (senza tralasciare la punteggiatura: «Uso le virgole / come punti di sutura / per chiudere le ferite…») come un gesto che afferma con precisione l’io poetico, un soggetto che ancora parla di “canto” («così, mentre la pioggia scrive / poesie d’amore intraducibili / nella mia lingua di terra / prendo il largo nelle pozzanghere […] dormo nel letto del fiume / e mi salva il canto delle donne»). Com’è vero che, in un testo paradigmatico – anche grazie alla sua posizione incipitaria all’interno della raccolta, per comprendere la fine di certo recente Novecento, dico Variazioni sulla scrittura – leggiamo: «le parole / sono semi / se si fanno largo nel vuoto / ci sono libri che tornano / a essere alberi / tra le metafore e la vita…»; ed è ragionevole pensare che non si poteva lasciare miglior viatico per chi intraprende il viaggio nella fiducia nella poesia di cui ancora il mondo, oggi, avrebbe bisogno. (Salvatore Ritrovato)