Valerio Mello su Agrigento Oggi
![]() La nobiltà dell'ombra - Corrispondenze
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autori: | Valerio Mello |
formato: | Libro |
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Agrigento Oggi del 13.2.13 riserva ampio spazio a Valerio Mello con la raccolta "La nobiltà dell'ombra - Corrispondenze" segnalando l'imminente presentazione a Milano alla Sormani il 7 marzo p.v.
“La nobiltà dell’ombra. Corrispondenze” di Valerio Mello
La presentazione del libro “La nobiltà dell’ombra. Corrispondenze” di Valerio Mello si terrà a Milano il 7 marzo 2013 presso il Palazzo Sormani Andreani nella Sala del Grechetto; interverranno con l’autore: Alessandro Quasimodo, attore e regista, figlio del premio Nobel Salvatore Quasimodo; Gianmarco Gaspari, professore di Letteratura Italiana presso l’Università degli Studi dell’Insubria e Direttore del Centro Nazionale di Studi Manzoniani. Valerio Mello (foto), agrigentino di origine, vive e lavora a Milano.
Si riporta l’introduzione al suo libro di poesie.
“La vita e il libro”
di Guido Baldassarri *
Colpisce, in questo libro di versi, la frequen- za delle dichiarazioni di poetica. Una poesia in presenza della riflessione sul poetare è fatto ben noto, ma non per questo usurato, almeno da Bau- delaire in poi: ma in questa raccolta c’è qualcosa di più e di diverso, il fare poesia, in qualche mo- do, dell’atto della scrittura, della sua speranza di senso. È il controcanto, ma appunto frequente, di una poesia d’altra parte fortemente visiva: che rilegge la tradizione del Novecento con l’occhio ad archetipi più antichi (Quasimodo, magari, incluso il traduttore dei lirici greci: «quel vento d’oro della sera/ che portava alle colline/ l’acqua del Medi- terraneo/ e rendeva ceste calde di sale/ le fronde degli alberi,/ alberi gialli sotto il sole/ della luna»: pag. 39): sensibile a una tavolozza ricca di colori, ma pronta poi a indugiare sul bianco e grigio dei monumenti funerari, trasposizione evidente di una contrapposizione fra presente e passato, non solo fra Nord e Sud, fra Milano e la Sicilia. Il dare spazio all’atto della scrittura (le dichiarazioni di poetica, ma anche l’immagine ricorrente del li- bro, dei caratteri, dei fogli: così cara alla poesia anche italiana già di primo Novecento) ha, infatti, in primo luogo il senso di compensare qualsiasi impressione di approccio impressionistico al dettato della tradizione ma anche al portato personale dell’esperienza e della memoria: «il poeta costeggia un recinto/ sbiadito,/ poesia è solo abbreviazione», leggiamo nel componimento a pag. 54. E altrove, in termini più diffusi ma non meno efficaci: «Io esorto questi termini comuni/ perché esplorino gli alloggi dell’oscurità,/ diano vigore ai fogli, ai bordi/ del vocabolario,/ riescano a usare il nitido chiarore/ nel quadro; infine,/ si costruiscano per i morti/ barche solari, ponti ed eterne linee./ Su, giù, ovunque astratte poesie» (Astratto, pag. 23).
L’emergere dall’ombra non guarda però soltanto a una langue che diviene parole, traguardata ma- gari attraverso uno scavo nell’io, e persino nell’in- conscio («la tela dell’inconscio/ che s’annoda a sé» del componimento a pag. 55). Guarda anche e soprattutto a una omologia tra vita e poesia, o per meglio dire fra esistenza e scrittura: in cui la se- conda, come tante volte nel Novecento non solo italiano, si carica di una valenza conoscitiva. Ciò che compare sulla pagina ambisce nella sua transi- torietà a un orizzonte di senso: “nasce”, in qualche modo, come una creatura vivente e consapevole destinata a svanire: «Si manifesta la scrittura/ sulla pagina bianca/ ieri dicevo lontana/ scoscesa come pietra di scoglio/ nascosta all’ombra del primo verso/ lettera minuscola/ cosa vorrà oggi l’estro/ nella gabbia senza punteggiatura/ dove ogni spazio fra i termini/ produce vita e ancora più vita/ e a questa punta di matita/ obbediente al movimento/ demando ogni luce ogni perdita/ rivolgo supplici le mie dita [...]» (pag. 29).
Una poesia consapevole e transitoria («io che scrivo nel giacere del tempo/ [...]/ stridulo ho il verso/ che urta e arranca;/ in frantumi il mio scrit- to/ come l’onda bianca./ Oggi roccia, poi sabbia», Il gabbiano, pag. 34): una poesia alla “ricerca di un senso”, come è stato detto assai opportunamente. Ma il suo apparire sulla pagina, per un processo che ha a che vedere più con le “intermittenze” care a tanto Novecento europeo che con le leggi della memoria consapevole, è di per sé portatore di sen- so: nei termini in cui unicamente ciò può risultare possibile, nella vita come nel libro: «A volte perdo le parole./ Le ritrovo nella parte di vita/ che prece- de la scrittura,/ durante il tramestio del ricordo./ Ma in questo universo/ non esistono leggi per i sopravvissuti./ [...]/ Le lettere che seguono/ sono identità di un tempo chiuso,/ prigioniere della forma cui appartengono;/ le lettere che seguono/ parlano per voci già accadute/ e ciò che definiamo corrente/ è acqua del passato che ristagna,/ è lo strato del nulla di cui abbiamo poche notizie» (La particella maledetta, pag. 32).
*Professore Ordinario di Letteratura Italiana presso l’Università degli Studi di Padova