Stefano Guglielmin con Ciao cari su RAINews Poesia di Luigia Sorrentino
			
				 
			
			Ciao cari 
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| autori: | Stefano Guglielmin | 
| formato: | Libro | 
| prezzo: | |
| vai alla scheda » | |
http://poesia.blog.rainews.it/2016/03/stefano-guglielmin-ciao-cari/
Avvertenza al lettore
 di Stefano Guglielmin
In questo libro si parla di persone. Ne Il mondo visto da dentro, la lingua si piega in un’intimità dialogica con i cari estinti, cercando chiarezza, la messa in forma del lutto e del suo superamento. Sperimentare, qui, significa lasciar-essere la distanza che mi separa dai defunti, ma anche riappropriarmi di un vissuto rimosso, senza turbarlo con la violenza di costruzioni formali metaletterarie. In tal modo, l’io storico ribadisce un diritto di esistenza, ma lo fa con la debolezza di tutte le strutture pervase dall’ombra, attraversate dall’alterità, senza pretese di dominio sul fatto e sulla sua carica emotiva spiazzante.
I testi de Il mondo visto da fuori sperimentano con maggiore libertà, modulandosi sullo stile delle figure nominate o cogliendone ossessioni, atteggiamenti, circostanze. La pluralità del dire nasce dalla fedeltà all’oggetto, dal calco che esso produce sul canto, deformandolo, a volte sino ad annullarlo, altre volte esaltandolo. Questo significa che sublime e antisublime, liricità e prosaicità, scrittura denotativa o connotativa, si danno ogni volta da capo nel singolo testo, a seconda di variabili non previste, bensì che scaturiscono dall’incontro con l’oggetto, ne sono la conseguenza. Sullo sfondo di entrambe le sezioni, la fiducia che qualcosa di prossimo all’autenticità si conservi nel dire così concepito. Un’autenticità depotenziata, residuale eppure tenace nel trasmettersi di lettura in lettura. E che pertiene non tanto all’io quanto alla specie, in ordine al desiderio, alla paura della morte, all’esilio antropologico, del quale non disponiamo la risoluzione e per questo, forse, scriviamo.
ESTRATTI
Da “Ciao, Cari“, di Stefano Guglielmin, Edizioni La Vita Felice, 2016, (13,00 euro)
Dalla sezione Anonimi
Anonimo (dilaniato)
L’albero della carne, con il frutto nato da padre&madre morti
 e dissepolti. Potrebbe essere un mirto o l’arancio che fa da gancio
 al braccio: c’è un tozzo di muscolo brachiale e l’ulna capovolta
 che s’infoglia, un boccone piccolo impigliato e un rosso
 come di mattone misto a merda; il fecaloro non si vede
 e così il verme a cui s’ammoglia.
* * *
Anonimo (commensale dell’EXPO)
C’è sempre un lampo
 insostenibile, una crepa
 che ricorre e resiste
 in ogni lauto pasto
 incrina l’aureola alla festa
 mentre vorresti, fra i
 commensali, una parola
 onesta, un giro
 concavo che attraversi
 un bosco senza lupi.
In controcanto
 si muove un’energia buona
 dentro la mano, che ama
 tuberi e verdure; il mondo
 terzo ci posa il labbro
 su quella luce, come sul miele:
 per qualche mese
 almeno, l’opera si compie
 salda la sua crepa.
* * *
Anonima (a Castelporziano)
Ricordo Bellezza a Castelporziano
 e una tossica quando chiese alla Rosselli:
 “Come fai a sentire così, come fai?”
Nei cavi che gli Area diffusero
 a Milano, nel settantasei, la voce dei corpi
 in piedi dentro le spine
mentre Artaud morì seduto, dopo cinquantuno
 rime sul tappeto, con la sua scarpa in mano
 avvelenato o perché, dopo lo Sterminio,
 non può che vincere il rumore.
Eppure lei, come fa a sentire così
 alla quinta edizione del nostro errore
 di essere qui, in via di trapasso
 o di estinzione, come fa
Amelia, come fa, lei, ancora a cantare?
* * *
Anonimo (in epigrafe)
È sempre bella la foto in epigrafe:
 nessun buio alle spalle e sorriso e
 luce. Il futuro nel lampo degli occhi
 mentre la morte sale dai piedi
 là dove non guardiamo, non tocchiamo.
* * *
Anonima (folla)
Tanta gente con la bava alla bocca, ovunque:
 l’uomo è fangosa corrente, polta che discende
 ai margini, da infelicità mossa. E natura
 suona a una casa vuota.
* * *
Anonimi (paesaggi da facebook)
Un bambino senza gambe, la selva di palazzi
 il dettaglio della carne con i vermi, un culo
 di donna, un muscolo, il bosco d’autunno
 la biondina con le trecce, la cassata siciliana
 il selfie, l’inclinazione sessuale, l’ozono
 il caffè d’orzo, l’assenza di grassi, le arance
 rosse, l’OGM, la strage di foca bianca
 una poesia della Dickinson, i girasoli, lo sponsor
 che ti bacia la guancia e sorride.
____
Stefano Guglielmin è nato nel 1961 a Schio (VI), dove vive e lavora come insegnante di lettere. Laureato in filosofia, ha pubblicato le sillogi Fascinose estroversioni (1985), Logoshima (1988), come a beato confine (2003), La distanza immedicata / The immedicate rift (2006), C’è bufera dentro la madre (2010), Le volpi gridano in giardino (2013), Maybe it’s raining. Selected poemes 1985-2014 (2014) e i saggi Scritti nomadi. Spaesamento ed erranza nella letteratura del Novecento (2001), Senza riparo. Poesia e finitezza (2009), Blanc de ta nuque. Uno sguardo (dalla rete) sulla poesia italiana contemporanea (2011) e Le vie del ritorno. Letteratura, pensiero, caducità (2014).
 Ha pubblicato anche racconti; l’ultimo, per un editore rumeno, si trova in L. Liberale (a cura di), Père-Lachiase. Racconti dalle tombe di Parigi (2014).
 Membro della Società filosofica Italiana. Dirige le collane di poesia “Laboratorio” per le edizioni “L’Arcolaio”, “Segni” per conto de “Le Voci della Luna” e, assieme a M. Ferrari e M. Morasso, “Format” della “Puntoacapo Editrice”. Gestisce il blog di poesia Blanc de ta nuque.
Avvertenza al lettore
 di Stefano Guglielmin
In questo libro si parla di persone. Ne Il mondo visto da dentro, la lingua si piega in un’intimità dialogica con i cari estinti, cercando chiarezza, la messa in forma del lutto e del suo superamento. Sperimentare, qui, significa lasciar-essere la distanza che mi separa dai defunti, ma anche riappropriarmi di un vissuto rimosso, senza turbarlo con la violenza di costruzioni formali metaletterarie. In tal modo, l’io storico ribadisce un diritto di esistenza, ma lo fa con la debolezza di tutte le strutture pervase dall’ombra, attraversate dall’alterità, senza pretese di dominio sul fatto e sulla sua carica emotiva spiazzante.
I testi de Il mondo visto da fuori sperimentano con maggiore libertà, modulandosi sullo stile delle figure nominate o cogliendone ossessioni, atteggiamenti, circostanze. La pluralità del dire nasce dalla fedeltà all’oggetto, dal calco che esso produce sul canto, deformandolo, a volte sino ad annullarlo, altre volte esaltandolo. Questo significa che sublime e antisublime, liricità e prosaicità, scrittura denotativa o connotativa, si danno ogni volta da capo nel singolo testo, a seconda di variabili non previste, bensì che scaturiscono dall’incontro con l’oggetto, ne sono la conseguenza. Sullo sfondo di entrambe le sezioni, la fiducia che qualcosa di prossimo all’autenticità si conservi nel dire così concepito. Un’autenticità depotenziata, residuale eppure tenace nel trasmettersi di lettura in lettura. E che pertiene non tanto all’io quanto alla specie, in ordine al desiderio, alla paura della morte, all’esilio antropologico, del quale non disponiamo la risoluzione e per questo, forse, scriviamo.
ESTRATTI
Da “Ciao, Cari“, di Stefano Guglielmin, Edizioni La Vita Felice, 2016, (13,00 euro)
Dalla sezione Anonimi
Anonimo (dilaniato)
L’albero della carne, con il frutto nato da padre&madre morti
 e dissepolti. Potrebbe essere un mirto o l’arancio che fa da gancio
 al braccio: c’è un tozzo di muscolo brachiale e l’ulna capovolta
 che s’infoglia, un boccone piccolo impigliato e un rosso
 come di mattone misto a merda; il fecaloro non si vede
 e così il verme a cui s’ammoglia.
* * *
Anonimo (commensale dell’EXPO)
C’è sempre un lampo
 insostenibile, una crepa
 che ricorre e resiste
 in ogni lauto pasto
 incrina l’aureola alla festa
 mentre vorresti, fra i
 commensali, una parola
 onesta, un giro
 concavo che attraversi
 un bosco senza lupi.
In controcanto
 si muove un’energia buona
 dentro la mano, che ama
 tuberi e verdure; il mondo
 terzo ci posa il labbro
 su quella luce, come sul miele:
 per qualche mese
 almeno, l’opera si compie
 salda la sua crepa.
* * *
Anonima (a Castelporziano)
Ricordo Bellezza a Castelporziano
 e una tossica quando chiese alla Rosselli:
 “Come fai a sentire così, come fai?”
Nei cavi che gli Area diffusero
 a Milano, nel settantasei, la voce dei corpi
 in piedi dentro le spine
mentre Artaud morì seduto, dopo cinquantuno
 rime sul tappeto, con la sua scarpa in mano
 avvelenato o perché, dopo lo Sterminio,
 non può che vincere il rumore.
Eppure lei, come fa a sentire così
 alla quinta edizione del nostro errore
 di essere qui, in via di trapasso
 o di estinzione, come fa
Amelia, come fa, lei, ancora a cantare?
* * *
Anonimo (in epigrafe)
È sempre bella la foto in epigrafe:
 nessun buio alle spalle e sorriso e
 luce. Il futuro nel lampo degli occhi
 mentre la morte sale dai piedi
 là dove non guardiamo, non tocchiamo.
* * *
Anonima (folla)
Tanta gente con la bava alla bocca, ovunque:
 l’uomo è fangosa corrente, polta che discende
 ai margini, da infelicità mossa. E natura
 suona a una casa vuota.
* * *
Anonimi (paesaggi da facebook)
Un bambino senza gambe, la selva di palazzi
 il dettaglio della carne con i vermi, un culo
 di donna, un muscolo, il bosco d’autunno
 la biondina con le trecce, la cassata siciliana
 il selfie, l’inclinazione sessuale, l’ozono
 il caffè d’orzo, l’assenza di grassi, le arance
 rosse, l’OGM, la strage di foca bianca
 una poesia della Dickinson, i girasoli, lo sponsor
 che ti bacia la guancia e sorride.
____
Stefano Guglielmin è nato nel 1961 a Schio (VI), dove vive e lavora come insegnante di lettere. Laureato in filosofia, ha pubblicato le sillogi Fascinose estroversioni (1985), Logoshima (1988), come a beato confine (2003), La distanza immedicata / The immedicate rift (2006), C’è bufera dentro la madre (2010), Le volpi gridano in giardino (2013), Maybe it’s raining. Selected poemes 1985-2014 (2014) e i saggi Scritti nomadi. Spaesamento ed erranza nella letteratura del Novecento (2001), Senza riparo. Poesia e finitezza (2009), Blanc de ta nuque. Uno sguardo (dalla rete) sulla poesia italiana contemporanea (2011) e Le vie del ritorno. Letteratura, pensiero, caducità (2014).
 Ha pubblicato anche racconti; l’ultimo, per un editore rumeno, si trova in L. Liberale (a cura di), Père-Lachiase. Racconti dalle tombe di Parigi (2014).
 Membro della Società filosofica Italiana. Dirige le collane di poesia “Laboratorio” per le edizioni “L’Arcolaio”, “Segni” per conto de “Le Voci della Luna” e, assieme a M. Ferrari e M. Morasso, “Format” della “Puntoacapo Editrice”. Gestisce il blog di poesia Blanc de ta nuque.
Avvertenza al lettore
 di Stefano Guglielmin
In questo libro si parla di persone. Ne Il mondo visto da dentro, la lingua si piega in un’intimità dialogica con i cari estinti, cercando chiarezza, la messa in forma del lutto e del suo superamento. Sperimentare, qui, significa lasciar-essere la distanza che mi separa dai defunti, ma anche riappropriarmi di un vissuto rimosso, senza turbarlo con la violenza di costruzioni formali metaletterarie. In tal modo, l’io storico ribadisce un diritto di esistenza, ma lo fa con la debolezza di tutte le strutture pervase dall’ombra, attraversate dall’alterità, senza pretese di dominio sul fatto e sulla sua carica emotiva spiazzante.
I testi de Il mondo visto da fuori sperimentano con maggiore libertà, modulandosi sullo stile delle figure nominate o cogliendone ossessioni, atteggiamenti, circostanze. La pluralità del dire nasce dalla fedeltà all’oggetto, dal calco che esso produce sul canto, deformandolo, a volte sino ad annullarlo, altre volte esaltandolo. Questo significa che sublime e antisublime, liricità e prosaicità, scrittura denotativa o connotativa, si danno ogni volta da capo nel singolo testo, a seconda di variabili non previste, bensì che scaturiscono dall’incontro con l’oggetto, ne sono la conseguenza. Sullo sfondo di entrambe le sezioni, la fiducia che qualcosa di prossimo all’autenticità si conservi nel dire così concepito. Un’autenticità depotenziata, residuale eppure tenace nel trasmettersi di lettura in lettura. E che pertiene non tanto all’io quanto alla specie, in ordine al desiderio, alla paura della morte, all’esilio antropologico, del quale non disponiamo la risoluzione e per questo, forse, scriviamo.
ESTRATTI
Da “Ciao, Cari“, di Stefano Guglielmin, Edizioni La Vita Felice, 2016, (13,00 euro)
Dalla sezione Anonimi
Anonimo (dilaniato)
L’albero della carne, con il frutto nato da padre&madre morti
 e dissepolti. Potrebbe essere un mirto o l’arancio che fa da gancio
 al braccio: c’è un tozzo di muscolo brachiale e l’ulna capovolta
 che s’infoglia, un boccone piccolo impigliato e un rosso
 come di mattone misto a merda; il fecaloro non si vede
 e così il verme a cui s’ammoglia.
* * *
Anonimo (commensale dell’EXPO)
C’è sempre un lampo
 insostenibile, una crepa
 che ricorre e resiste
 in ogni lauto pasto
 incrina l’aureola alla festa
 mentre vorresti, fra i
 commensali, una parola
 onesta, un giro
 concavo che attraversi
 un bosco senza lupi.
In controcanto
 si muove un’energia buona
 dentro la mano, che ama
 tuberi e verdure; il mondo
 terzo ci posa il labbro
 su quella luce, come sul miele:
 per qualche mese
 almeno, l’opera si compie
 salda la sua crepa.
* * *
Anonima (a Castelporziano)
Ricordo Bellezza a Castelporziano
 e una tossica quando chiese alla Rosselli:
 “Come fai a sentire così, come fai?”
Nei cavi che gli Area diffusero
 a Milano, nel settantasei, la voce dei corpi
 in piedi dentro le spine
mentre Artaud morì seduto, dopo cinquantuno
 rime sul tappeto, con la sua scarpa in mano
 avvelenato o perché, dopo lo Sterminio,
 non può che vincere il rumore.
Eppure lei, come fa a sentire così
 alla quinta edizione del nostro errore
 di essere qui, in via di trapasso
 o di estinzione, come fa
Amelia, come fa, lei, ancora a cantare?
* * *
Anonimo (in epigrafe)
È sempre bella la foto in epigrafe:
 nessun buio alle spalle e sorriso e
 luce. Il futuro nel lampo degli occhi
 mentre la morte sale dai piedi
 là dove non guardiamo, non tocchiamo.
* * *
Anonima (folla)
Tanta gente con la bava alla bocca, ovunque:
 l’uomo è fangosa corrente, polta che discende
 ai margini, da infelicità mossa. E natura
 suona a una casa vuota.
* * *
Anonimi (paesaggi da facebook)
Un bambino senza gambe, la selva di palazzi
 il dettaglio della carne con i vermi, un culo
 di donna, un muscolo, il bosco d’autunno
 la biondina con le trecce, la cassata siciliana
 il selfie, l’inclinazione sessuale, l’ozono
 il caffè d’orzo, l’assenza di grassi, le arance
 rosse, l’OGM, la strage di foca bianca
 una poesia della Dickinson, i girasoli, lo sponsor
 che ti bacia la guancia e sorride.
____
Stefano Guglielmin è nato nel 1961 a Schio (VI), dove vive e lavora come insegnante di lettere. Laureato in filosofia, ha pubblicato le sillogi Fascinose estroversioni (1985), Logoshima (1988), come a beato confine (2003), La distanza immedicata / The immedicate rift (2006), C’è bufera dentro la madre (2010), Le volpi gridano in giardino (2013), Maybe it’s raining. Selected poemes 1985-2014 (2014) e i saggi Scritti nomadi. Spaesamento ed erranza nella letteratura del Novecento (2001), Senza riparo. Poesia e finitezza (2009), Blanc de ta nuque. Uno sguardo (dalla rete) sulla poesia italiana contemporanea (2011) e Le vie del ritorno. Letteratura, pensiero, caducità (2014).
 Ha pubblicato anche racconti; l’ultimo, per un editore rumeno, si trova in L. Liberale (a cura di), Père-Lachiase. Racconti dalle tombe di Parigi (2014).
 Membro della Società filosofica Italiana. Dirige le collane di poesia “Laboratorio” per le edizioni “L’Arcolaio”, “Segni” per conto de “Le Voci della Luna” e, assieme a M. Ferrari e M. Morasso, “Format” della “Puntoacapo Editrice”. Gestisce il blog di poesia Blanc de ta nuque.









			



													
