Sotto il cielo di San Giorgio

Sono le 18. Da un’ora il sole è tramontato lasciando posto alle ombre della sera. La pista, il prato, le tribune, gli spogliatoi, le luci, le voci, le postazioni degli speaker e dei telecronisti, il Palabertelli, i posteggi delle auto, tutto è ormai vuoto. Gli striscioni, le transenne sono stati rimossi. Di atleti, di tecnici, di organizzatori, di volontari, di spettatori, non c’è più nessuno, tutti se ne sono andati. Ma alle 18.13 un uomo ritorna – A volte ritornano – a guardare la pista. E quell’uomo a metà del rettilineo finale intravede che c’è ancora qualcosa, o meglio l’ombra di qualcosa che pur tra tutto quel mare di ombre si distingue lo stesso. È l’ombra del podio. Forse è stato dimenticato, o forse no. Fatto sta che sul suo gradino più alto c’è qualcuno, sì c’è qualcuno, che sventola una bandiera. A quell’uomo sembra che quel qualcuno che sta sul podio stia anche cantando e che le parole dicano «Arrivederci a tutti! All’anno prossimo! Saranno sessanta!». Adesso l’uomo lo riconosce: quel qualcuno si chiama Campaccio.