Rapsodia sestese
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Descrizione |
«Vedi, Capo, il problema è che è successo tutto così in fretta... La pioggia. L’asfalto bagnato. Un pistola di drogato che non rispetta il senso di marcia... Io non me ne sono ancora fatto una ragione. E credo che per mio fratello sia la stessa cosa.» «Eppure vi avevo avvertiti. Attenti che la morte arriva come un ladro, quando meno te l’aspetti. L’ho scritto nel Vangelo.» «Sul Vangelo niente da dire, anche se noi non avevamo proprio il tempo neanche per una lettura rapida, ma la storia del ladro non mi sembra una bella cosa quando si ha l’intenzione sincera di collaborare per mandare avanti un mondo già tanto complicato.» «Vede, Eminenza, mio fratello ha battuto la testa contro il parabrezza... La macchina di noi proletari era così vecchia che l’airbag non ha neanche funzionato... Se posso dire, la sua è stata una morte più dura della mia, anche se devo ammettere che neanche la mia è stata uno scherzo.» «Il fatto è che morire non è mai bello per nessuno. Anche se Lei certe cose non le può capire...» «Non dimenticate che ci ho rimesso un figlio.» «Noi Ferrario non entriamo in questioni di parentela. Per principio. Il problema, per noi, è sempre politico.» Sesto San Giovanni ha un biglietto da visita storicamente pesante. Sorta alla periferia di Milano nell’epoca giolittiana, direttamente dai campi del granoturco e con una selva di ciminiere, fu al centro degli scioperi del marzo del 1944. L’Europa era occupata dai nazisti e il «New York Times» scrisse in prima pagina l’ammirazione per tutti gli italiani. Furono gli operai delle grandi fabbriche del Nord e dell’hinterland, infatti, a dichiarare con il loro comportamento civile che un’epoca di barbarie doveva considerarsi conclusa. Ma era solo la conclusione della prima tappa, durata novant’anni. Le ciminiere furono spente per ordine di Bruxelles e gli operai con la tuta blu, invece di respirare un’aria fattasi più salubre, si sono congedati insieme dal fordismo e dalla storia. Non più rude razza pagana (Mario Tronti), ma patetici pensionati che discutono del campionato di calcio e nelle pause si occupano della prostata. Chi ne ha preso il posto? Chi conserva la memoria? Chi ha ancora la forza di sperare un futuro? Sono le nude vite a dire insieme la voglia di vivere e la disperazione di farlo in questo modo. L’uomo nuovo non c’è. Non c’è ancora. E quando appare, il più delle volte sembra orrendo. E allora proviamo a seguirne le innumerevoli metamorfosi. Così ogni storia diventa la narrazione di una mutazione. Non ci sono personaggi, ma soltanto personaggi in continua trasformazione, colti nelle fasi di passaggio. Verso un nuovo mondo non-si-sa-che.
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