Interazioni
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Descrizione |
Prefazione
Dedico questi racconti alle persone amate, il cui ricordo o la cui presenza me li hanno suggeriti, e alle persone che io non conobbi, ma che furono care a loro.
Li dedico ai giovani affinché conservino la memoria di un mondo passato: è bene che sia passato, però è anche bene che il mondo nuovo vi attinga, criticamente, per avere radici feconde.
I racconti si situano nel periodo compreso tra il 1945 e il 1986 e contengono alcune frasi in veneto; io sono l’unico della mia famiglia che lo parlasse e lo parli tuttora.
Il Veneto della mia adolescenza fu quello delle campagne veronesi tra Adige e Mincio, dove la mia famiglia possedeva una proprietà in campagna chiamata Comparina. Dalla metà del XVIII secolo questa fu prima trentina, poi veronese e infine milanese, per la successione nella mia famiglia lombardo-veneta.
Nell’autunno 1949, nel tardo pomeriggio, ascoltai per la prima volta l’Ave verum. Fuori pioveva, la chiesa era fredda e deserta e la corale stava provando, diretta e accompagnata all’organo da don Marcello Bentivegna, parroco dal 1947; tutti i membri erano contadini che avevano fatto sì e no la III o la V elementare, con due eccezioni: chi non aveva fatto nemmeno quelle e gli analfabeti (numerosi allora pure tra i giovani che “avevano servito la patria” in guerra, ma il cui “servizio” non includeva l’andare a scuola).
La corale cantava bene e l’intendimento del senso era evidentemente profondo, pur in una lingua sconosciuta. Fu allora che cominciai a pormi domande sulla cultura naturale.
Queste Interazioni sono, dunque, lombardo-venete e borghesi; raccontano un mondo contadino, il suo declino, specie tra la fine del decennio 1950 e l’inizio degli anni Sessanta, la sterilità delle classi borghesi e delle gerarchie chiesastiche, entrambe, salvo eccezioni, incapaci di “fare contemporaneità”1 senza darsela, né darla, a intendere. Non pretendono di andare oltre una parte della realtà nord-italiana; infatti altre realtà, pur a pari periodo se non anche a pari durata, sono però profondamente diverse.
Chi leggerà queste pagine, giudicherà taluni racconti dolciastri e senz’altro noiosi. Di ciò l’anonimo autore si scusa, adducendo però l’affetto come attenuante.
È bene dirlo subito: io non sono “credente”, ma so anche, per umana e personale esperienza, che la mia ragione è limitata dal fatto che sono destinato a morire, mentre il “tarlo”, del quale ho sete fin da ragazzo e del quale non so, né potrò mai sapere alcunché, si applica all’infinito.
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Prima di essere pubblicato, dovrà essere approvato dalla redazione.
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