La poesia in carcere- intervista a M. Capalbi (N. Agustoni)
![]() Nessuno sa quando il lupo sbrana
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autori: | Maddalena Capalbi |
formato: | Libro |
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Articolo pubblicato su La poesia e lo spirito
La poesia in carcere
Intervista a Maddalena Capalbi di Nadia Agustoni
Maddalena Capalbi tiene da cinque anni un laboratorio di poesia nella Seconda Casa di Reclusione di Bollate. Un laboratorio che vede ogni anno aumentare la presenza dei detenuti e il loro interesse verso la scrittura poetica. A fine anno una scelta dei testi scritti dai partecipanti confluisce in un’antologia che, in passato, è stata sponsorizzata dal comune di Milano, dalla Provincia e da Amnesty International. Il progetto ha spesso avuto il sostegno di personalità del mondo della cultura come Roberto Vecchioni che lo scorso anno ha scritto la prefazione. Scrittrice e lettrice attenta, redattrice della rivista QuiLibri, Capalbi ha saputo portare queste passioni in un luogo difficile, a persone spesso abbandonate a se stesse, lontane dagli affetti e in molti casi dalla propria lingua d’origine. Le ho rivolto alcune domande per “Vivalascuola”, convinta che questa esperienza didattica sia importante.
Maddalena puoi dirci come si svolge il laboratorio di scrittura poetica che da cinque anni tieni con Anna Maria Carpi nel carcere di Bollate?
Vorrei fare una breve premessa. Ho iniziato ad interessarmi a questo progetto quando Silvana Ceruti, su mia richiesta, mi invitò al suo laboratorio di scrittura, nel carcere di Opera. Ho subito pensato che poter portare una voce dall’esterno nel carcere fosse di importanza, non esagero, vitale. Primo, perché credo che sia fondamentale dare una valenza alla solidarietà, di cui tanto si parla, e poi perché la voce, per chi non ne ha essendo detenuto, serve a risvegliare, all’esterno, la curiosità che induce a porsi domande e riflessioni.
Ecco perché cinque anni fa ho proposto di coordinare un laboratorio di poesia nella Seconda Casa di Reclusione di Bollate, il progetto è stato accolto sia dalla direttrice Lucia Castellano, che ora è assessore del comune di Milano, che dai detenuti i quali hanno aderito, prima con perplessità poi convinti che poter esprimere i loro sentimenti, le loro paure e le loro angosce ma anche i loro pudori, attraverso la poesia, fosse importante. Ovviamente, per prima cosa, è stato necessario conquistare la loro fiducia.
Ci riuniamo ogni sabato mattina in un ampio spazio. Quest’anno i partecipanti sono circa trenta tra detenuti e detenute: leggiamo i versi di ognuno a voce alta commentando il contenuto e, se necessario, correggiamo e variamo i testi. In questo modo diventa più semplice discutere di molti argomenti, per esempio della mancanza dell’affettività, che è molto sentita. Oppure leggiamo le poesie dei grandi poeti e le commentiamo. Al termine della mattinata dettiamo loro alcuni versi affinché durante la settimana riflettano e scrivano il loro pensiero che leggeranno il sabato successivo. Molti di loro hanno un vocabolario limitato e si esprimono in modo semplice ma è proprio da questa loro semplicità e per certi aspetti ingenuità che emerge la poesia. È un piccolo miracolo.
Cos’è che conta più di tutto nel vostro rapportarvi alle persone che avete davanti?
Ciò che conta è creare una sinergia che ponga sia loro che noi nella giusta posizione per perseguire un progetto che si basa sulla forza delle parole. Non si tratta di creare un percorso consolatorio bensì un ponte con la società esterna affinché, senza pregiudizi, possa guardare al di là delle mura di cinta del carcere. Oltre quel muro ci sono persone, uomini e donne, che hanno il coraggio di raccontarsi senza falsità. L’antologia che ogni anno pubblichiamo è un piccolo dono al loro impegno e serve però moltissimo a chi detenuto non è. In carcere ci sono persone che hanno sbagliato ma che vogliono cambiare. La poesia è uno strumento per farlo sapere.
I detenuti e da quest’anno le detenute (il laboratorio ora è misto e anche questo è molto importante) hanno spesso esperienze tragiche alle spalle. Piano piano conquistando la loro fiducia ne parlano, ne scrivono, scegliendo anche un linguaggio che non è quello gergale cui sono abituati. Mi dicevi che questo genera conflitto in loro; lo vivono come una perdita di potere verso i detenuti che a quel gergo si attengono e però insieme a questo vivono un arricchimento della loro esperienza personale e vedono altre possibilità.
La Direzione del carcere ha dato la possibilità sia alle detenute che ai detenuti di frequentare insieme il laboratorio, ad oggi è un esperimento ben riuscito. La diversa struttura psicologica rende interessante il confronto e le personalità forti, che solitamente si affermano a prescindere, sono costrette ad ascoltare i diversi punti di vista creando un dibattito paritetico. Certo per chi è abituato ad affermarsi attraverso la forza e, in alcuni casi, la violenza, agli occhi di altri detenuti seguire un corso di poesia può sembrare indice di debolezza. Molti di loro hanno capito che, invece, è questa loro forza interiore che devono far conoscere.
Il laboratorio è un aperto, in un sistema chiuso. Queste persone vivono, alcune per la prima volta, da individui, con la loro singolarità; ma questo vissuto nuovo non è nell’autismo o nella deprivazione dell’obbedienza forzata dovuta ai più forti e alle istituzioni, perché nella didattica del laboratorio entrano molte cose, ad esempio le letture e l’ascolto. Ti parlano di cosa significa questo per loro?
Alcuni, forse per la prima volta nella vita, hanno la possibilità di parlare e confidarsi con persone al di fuori del loro ambiente, che non hanno avuto esperienze violente e che con umiltà si dimostrano interessate all’ascolto. Molti non avevano più aperto un libro dai tempi della scuola. Ora quantomeno sono disposti ad ascoltare e a leggere. Ci sono stati alcuni che per molte lezioni sono rimasti in silenzio. Non conoscevamo neppure la loro voce. Ci studiavano. Poi piano piano si sono aperti. Hanno avuto fiducia in noi. È stato un successo importante. Adesso, quando leggiamo delle poesie, intervengono, dicono la loro senza timore di essere accettati e giudicati. Cosa bella è che all’interno del laboratorio non c’è competizione. Tutti accettano le idee degli altri. Se pensi quale ambiente è, cioè un carcere, direi che la poesia è un fenomeno straordinario che riesce a fare interagire persone in modo diretto.
Mi dicevi che la lingua italiana è parlata da tutti, ma la presenza di persone immigrate da paesi diversi (est Europa, Africa, Asia) fa sì che ci siano risultati sorprendenti quando la scrivono.
Nel laboratorio si incontrano tanti uomini e donne di paesi diversi, esso è un luogo d’incontro di lingue, religioni e culture diverse. Un avamposto dove chi ci vive è costretto a confrontarsi senza erigere barriere, cosa che all’esterno la società spesso costruisce. La poesia ha fatto incontrare l’italiano, il magrebino, l’africano e tutti sono uguali perché tutti sognano allo stesso modo. E non ci vuole tanto per scoprire che anche nel carcere c’è la bellezza, anche tra le parole, forse, non perfette. Tutti hanno qualcosa da dire e da dare, in particolare il bisogno di sentire accolto il dolore e la solitudine.
Vuoi portare qualche esempio della loro scrittura? Dire qualcosa?
Un piccolo regalo dei nostri ragazzi del laboratorio di poesia della Seconda Casa di Reclusione di Bollate, Milano.
Corale
Una volta non sapevo
Come fosse l’inferno
Ed il paradiso
Adesso lo so la libertà e le sbarre
E credevo di essere ali di gabbiano dentro gli occhi tuoi
Mentre tu programmavi un’altra storia un’altra fotografia
Cosa mi resta ora? Scordo discordia che affonda come la concordia
E mi perdo nei tuoi occhi azzurro oceano
Nel ricordo di un immenso amore
Vedo frammenti della mia sofferenza
Nascosta nel silenzio
Della mia solitudine
Solo nella tristezza del mio cuore
Che batte all’unisono della meraviglia
E abbatte, sbatte contro le sbarre
Nasce il sogno di libertà
Sperando in un futuro migliore
Al di fuori di qui
In un mondo pieno di amore e speranza
Giacché nella vita ci sono momenti
Di allegria e sofferenza.
E chi sa amare non muore mai.
Vittorio, Alfio, Giovanni, Stefano, Carlo, Francesco, Vincenzo, Enzo, Michele, Angelo, Dany, Gerry, Mady, Alberto, Diego, Dario, Carlos, Faouzi…