Silvio Raffo per «Lettere dal mio gatto» di Helen Hunt Jackson
Lettere dal mio gatto
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autori: | Helen Hunt Jackson |
formato: | Libro |
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Silvio Raffo per «Lettere dal mio gatto» di Helen Hunt Jackson
Helen Hunt Jackson, scrittrice e poetessa americana, è una delle figure femminili presenti nel copioso epistolario della sua grande contemporanea Emily Dickinson, nata il suo stesso anno, due mesi dopo di lei e morta un anno dopo. Si recò due volte a far visita alla “reclusa di Amherst”, di cui aveva intuito il genio, rimproverandola dell’“egoismo” che dimostrava nel rifiutarsi di condividere la sua “lettera al mondo” col mondo e insistendo molto per avere un suo testo; incredibilmente ci riuscì, e nella rivista “A masque of poets” da lei diretta fu pubblicata la lirica “Success is counted sweetest” (“Più dolce appare il successo”, che prosegue con “A chi mai lo conobbe”), la cui paternità fu attribuita da alcuni recensori a Ralph Waldo Emerson.
La Jackson, all’opposto della Dickinson, è persona molto attiva nell’ambito del sociale e cerca fra l’altro di migliorare il trattamento dei nativi americani da parte del governo. Emily la chiama scherzosamente “Elena del Colorado” e parlando di lei al marito William scrive: “Elena di Troia morirà, ma Elena del Colorado mai. Quando le chiesi, dopo la sua caduta, “Può camminare?”, mi rispose: “Cara amica, posso volare”. Io l’ho vista solo due volte, ma quelle due volte sono indelebili, la sola impressione che lei lasciava in ogni cuore (casa) dove entrava era ‘Io sono ogni giorno più glorificata’”.
L’opera forse più insolita di Helen Hunt Jackson, che non sappiamo se la Dickinson abbia conosciuto ma che senz’altro le sarebbe immensamente piaciuta, è “Letters from a Cat”, in cui si illustra il caso interessante e unico di una corrispondenza epistolare fra una gattina, Pussy, e la sua padrona, appunto Helen.
L’introduzione è illuminante circa la singolarità del caso; a un certo punto Helen annota: “Sapevo bene che i gatti generalmente non sanno leggere né scrivere” ma aggiunge subito “però ero anche sicura che la mia gatta non aveva rivali al mondo”; vengono quindi elencate altre caratteristiche che rendono unica “Micina”: ad esempio il giocare a nascondersi o seguire la padrona in chiesa e ai funerali.
Dobbiamo ammettere che i gatti non sono animali ma piccole stravaganti divinità, come già avevano capito gli Egizi, dotate di misteriosi poteri: questo è il messaggio che ci comunica la Jackson, trascrivendo le lettere scritte da Micina, inoltratele dalla madre in un preciso arco di tempo corrispondente a un viaggio col padre. In effetti, dice, “non l’ho mai sorpresa a fare nulla di simile quando ero a casa...”.
La gatta, dimostrando una notevole personalità e saggezza oltre che un “wit” eccezionale, informa la padroncina di importanti dettagli che in più circostanze sfuggono agli umani, sottolineando aspetti ridicoli e vergognosi di questi ultimi, e palesando la propria preoccupazione per il deteriorarsi del suo aspetto estetico, il manto di pelliccia che a causa dell’età inizia a coprirsi di macchie.
L’ultima lettera ha un tono un po’ triste, anche se poi riaffiora la consueta ironia. “Il mio unico turbamento è dato dal fatto che mi vergogno molto tu debba vedermi in questo stato...” Non c’è dubbio, si tratta di un essere di sesso femminile. La tragica verità è che Micina morirà affogata.
Il delizioso libretto, tradotto con grande cura da Benedetta Casella, è corredato da diciotto illustrazioni di Addie Ledyard e da testo originale a fronte di facile lettura.
Silvio Raffo