Pino Farinotti su Mymovies per «John Carter di Marte»
![]() John Carter di Marte
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autori: | Edgar Rice Burroughs |
formato: | Libro |
prezzo: | |
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Edito in questi giorni la sua raccolta di romanzi “John Carter di Marte”. Ma allo scrittore si deve molto di più: Tarzan.
di Pino Farinotti

È una buona notizia, del dopo-covid: i libri, la carta, tornano a circolare. Ed è reperibile, nelle librerie, un testo che possiede una valenza storica. L’autore è Edgar Rice Burroughs, il titolo del libro è “John Carter di Marte” (GMLibri 553 pag. 18€). Il risvolto racconta: “Marte non è un pianeta morto. È quello che scopre l’ex soldato John Carter dopo essersi misteriosamente ritrovato sulle sue lande rosse. Marte è infatti un mondo sull’orlo del collasso, dilaniato dalla guerra tra le tribù barbariche che lo popolano, dove la spada comanda sulla scienza. Posto di fronte a creature mostruose, razze sconosciute e alla mera sopravvivenza, John Carter si ritrova a essere l’ago della bilancia del conflitto. Forse c’è un modo per far tornare la pace, e per scoprirlo deve fare breccia nel cuore della bellissima principessa Dejah Thoris.”
Nel volume sono raccolti i primi tre romanzi del “Ciclo di Marte”: “La principessa di Marte”, “Gli dei di Marte”, “Il signore della Guerra”.
Nel 2012 Andrew Stanton ha firmato il film John Carter, tratto dal romanzo “Sotto le lune di Marte”, con Taylor Kitsch protagonista. La storia: John Carter, cercatore d’oro ed ex soldato sudista, fuggendo dagli indiani e dall’esercito statunitense, incappa in una figura misteriosa e viene involontariamente teletrasportato su Marte, dove la diversa gravità gli conferisce forza e agilità superiori a tutte le diverse specie del pianeta. Subito coinvolto nelle lotte tra tribù per la supremazia, a causa dell’inconsapevole salvataggio della principessa del regno di Helium, l’alieno provenuto dalla Terra riuscirà, alla fine, a tornare sul pianeta d’origine.
Il modello “Carter” è certo un precursore, decisamente importante, evoluto secondo le epoche, se è vero che ha ispirato gli autori di Star Trek e Star Wars. Ma a Burroughs (1885-1950) tutti dobbiamo molto di più. Nel 1914, pubblicò “Tarzan delle scimmie”, senza grandi aspettative. Sbagliava. Tarzan è uno dei grandi, magnifici modelli dell’incanto universale. Lo sappiamo. Un codice che ha creato un precedente da cui non è stato più possibile prescindere. Come Robin Hood o Zorro, eroi fortissimi e ripetitivi, il primo, derivato dalla tradizione popolare, e il secondo da un testo di Johnston McCulley. E tutti quanti accolti nel profondo del nostro immaginario, come un’antropologia evocata dalla memoria e dalla coscienza.
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Tarzan cresce nella foresta, trova dei libri e impara a leggere, non a parlare. Diventa il capo delle scimmie, le guida e le protegge. Poi arrivano i bianchi, e con loro Jane, che si innamora del selvaggio. Ha inizio la loro storia, insieme affrontano avventure e pericoli. Alla fine Jane conduce Tarzan in America, ma al momento decisivo, quello di decidere per la vita, la donna sposa un suo pari: non ha avuto il coraggio per la scelta definitiva. E qui interviene il cinema, al quale non si addice il finale triste. I film vogliono l’happy ending. E così abbiamo visto Tarzan, cento volte, andarsene felice, alla fine, mano nella mano con la sua Jane. È davvero facile dare un significato all’uomo della foresta: sarebbe la ricerca del paradiso perduto, del ritorno alla vita naturale e alla felicità. Un richiamo – poi si sarebbe detto- ecologico, sul quale il cinema si è avventato. La filmografia è infinita. Tarzan è stato un collettore gigante. Ha attirato di tutto: film seducenti, altri mediocri, budget ingenti e produzioni familiari, attori ipertrofici grotteschi, quasi muti. Ci sono state serie televisive e film di animazione, a volte di qualità – Disney, per esempio – spesso banali.
Ci sono state parodie impossibili, persino con Totò. Ci sono stati fumetti che fanno parte di raccolte classiche. I “Tarzan” dello schermo sono stati decine. Ma la leadership assoluta e storica è quella di Johnny Weissmuller. È lì che staziona il mito, ancora adesso. I titoli partono da Tarzan of the Apes del 1918 di Scott Sidney, con Elmo Lincoln e arrivano a The Legend of Tarzan, del 2016, diretto da David Yates, con Alexander Skarsgård. Evocazione opportuna, legata a un libro, a un autore, che non vanno ignorati, all’occasione.