Shelley - Saggio sul Diavolo - estratti
![]() Saggio sul Diavolo
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autori: | Percy Bysshe Shelley |
formato: | Libro |
prezzo: | |
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Nato nel 1792 e morto nel 1822, in un incidente che con un po’ più di giudizio si poteva tranquillamente evitare, Percy Bysshe Shelley si affianca – nel nostro immaginario collettivo di colti liceali – a Ugo Foscolo. Tutti e due divorati da un élan vitale di sovrumana o sovraborghese intensità, tutti e due atei più o meno sofferti, tutti e due aggrappati a un panteismo o animismo straodinariamente fertile quanto a immaginazione poetica, tutti e due diaconi di una totale libertà sessuale, anche se teorizzata dall’uno sì e dall’altro no... una cosa li divide però in modo profondo e irrimediabile: la disponibilità all’umorismo; una spezia da cui Foscolo è immune e da cui si tiene lontano come dalla più perniciosa delle droghe, e che Shelley invece usa con giusta parsimonia e con quella misura che – nell’umorismo più che in ogni altro registro espressivo – è garanzia di efficacia.
[…] pensando a questo saggetto di Shelley che spunta dalle sue carte tra un’Ode al vento occidentale e un Prometeo liberato, mi sono sorpreso a pensare che cosa avrebbe tratto Foscolo dai nomi di Dio e del Diavolo, se avesse loro applicato quella rigorosa e illuminante disamina etimologica di cui fu sublime cultore.
Ma in tutti i Sepolcri Foscolo nomina una volta “Iddio” (tre volte nelle Grazie), e nessun cenno fa del Diavolo o di chi per lui. Shelley, al contrario, se ne riempie la bocca: trascura le etimologie e gioca, letteralmente, con le personalità reali, psicologiche e altro, dei due opposti principi; e con quello che l’umanità – nei suoi vari stadi – vi ha visto, e come li ha trattati. Non sempre in contrapposizione (come l’angelo buono e il diavoletto cattivo dei nostri infantili catechismi). Anzi, in perfetto accordo, sia pure sottobanco, in quanto – in fondo – necessari l’uno all’altro; l’esistenza di ciascuno in diretta dipendenza con la presenza dell’altro; tutti e due condannati a uno snervante, noiosissimo ozio se l’altro non gli procurasse tutti i grattacapi che per omnia saecula saeculorum gli procura.
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Alla base, naturalmente, vi è il granitico e imperturbato ateismo di Shelley; ma il giochetto cui egli si abbandona manovrando quelle straordinarie e assurde marionette è soprattutto un farsi beffe delle costruzioni teologiche e demonologiche nelle quali i Santoni cucullati subtili et metaphisici di questa o quella confessione li hanno mummificati e congelati.
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Shelley, come è noto, fu prima l’amante e poi il marito di Mary Shelley, l’autrice del celeberrimo Frankenstein. Non voglio assolutamente ricadere nella gratuità dell’accostamento con Foscolo; ma ce la sentiamo di escludere del tutto che nel rapporto tra Percy e Mary non si insinui qualcosa di simile o comunque di paragonabile alla disaffinità elettiva dell’onnipotente creatore e della sua più contradditoria creatura?
dall'introduzione di Luigi Lunari
[Il Saggio sul Diavolo, grazie al suo affascinante, intelligente e vivace sarcasmo, è uno dei più deliziosi saggi di Shelley. Nello spirito, seppur non nello stile, è una delle prime produzioni, ed è stato scritto probabilmente nel 1819; in ogni caso non più tardi del 1820.
A causa del suo approccio satirico, il lettore potrebbe non intenderne lo scopo, che è quello di attaccare le superstizioni e le mitologie della religione cristiana. Nella Necessità dell’ateismo e nelle note a La regina Mab Shelley è diretto ed esplicito, ma in questo saggio, pur caratteristicamente shelleyano nel tema, il metodo d’approccio dell’autore è più sottile. Disarmerà il lettore appellandosi al suo senso del ridicolo, ma alla fine avrà raggiunto il suo scopo: rendere chiaro che una fede nel diavolo e in altri miti cristiani non può accompagnarsi con la scienza e la ragione.
Con tono a metà fra lo scherzoso e il deliziosamente ironico, Shelley offre al lettore ciò che sembra essere un serio resoconto della vita di Mr. Badman, e, quando si finisce di leggere il saggio, non si può evitare di sogghignare alla stupidità e credulità dell’homo sapiens.
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Determinare la natura e le funzioni del Diavolo è un tema non trascurabile della mitologia europea. Chi, o cosa è, il Diavolo, le sue origini, la sua sede, il suo destino, e i suoi poteri sono materie che disorientano i più acuti teologi, e sulle quali nessuna persona bennata può essere indotta a dare una ferma opinione. Il Diavolo è il punto debole della religione popolare, il ventre vulnerabile del coccodrillo.
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Miseria e ingiustizia contribuiscono a produrre un effetto molto poetico, poiché l’eccellenza della poesia consiste nel risvegliare la simpatia degli uomini, che tra persone influenzate da un’abietta e tetra superstizione è più efficace grazie a immagini d’orrore che non di bellezza. A un poeta si richiede una maggiore capacità d’arte per riprodurre e rendere bellezza, virtù, e armonia poetiche, ovvero per dar loro un’ideale sintonia e che vadano di pari passo con le emozioni predominanti dei suoi lettori; molto più che per raffigurare ingiustizia, deformità, discordia e orrore poetici. Ci sono meno Raffaelli che Michelangeli. Sono stati scritti versi migliori sull’Inferno che sul Paradiso. Quanto pochi sono coloro che leggono il Purgatorio o il Paradiso di Dante, rispetto a quelli che conoscono bene l’Inferno? Eppure il Purgatorio, a eccezione di due famosi episodi, è una cantica più gradevole dell’Inferno. Nessun poeta sviluppa la stessa potenza nel fervore delle sue composizioni quando non è sicuro delle emozioni dei suoi lettori, cioè di quelle in cui sa come suscitare la loro simpatia.
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al Diavolo in persona è dato il nome di Lucifero.Non trovo traccia del perché venga chiamato Lucifero, salvo che in un passaggio mal interpretato di Isaia, laddove costui esulta per la caduta di un re assiro, oppressore del suo paese: «Come sei dunque caduto dal Cielo, Lucifero, figlio dell’Aurora?». Il Diavolo, dopo aver gradualmente acquisito corna, zoccoli, coda, e orecchie delle antiche divinità dei boschi, le ha progressivamente perse di nuovo, anche se gli sono state aggiunte le ali. Perché gli uomini gli assegnassero questi attributi come fattori di terrore e deformità, è del tutto inspiegabile. Gli spiriti silvani e i fauni, al pari del grande Pan, loro capo, erano essenzialmente delle creature poetiche che l’immaginazione dei pagani ricollegava a quanto vi potesse essere di gioioso e di delizioso. Essi erano immaginati come innocue e innocenti creature, non molto diversi – quanto a usi e costumi – dai pastori e dai mandriani di cui erano i protettori. Ma i Cristiani riuscirono a convertire anche i ruderi della mitologia dei Greci – al pari di quel poco che riuscivano a comprendere della loro filosofia – rendendoli volutamente falsi e deformi.Suppongo che anche il pungiglione di cui era armato gli desse il tremendo aspetto di una vipera simile a un drago.
Notizia bio-bibliografica
Percy Bysshe Shelley nacque il 4 agosto 1792 a Field Place, Horsham, nella contea del West Sussex e morì l’8 luglio 1822, annegando al largo di La Spezia durante il tempestoso ritorno verso Lerici da una gita in barca.
Di famiglia antica e facoltosa – era il primogenito del conformista Timothy Shelley, parlamentare Whig sotto la protezione del Duca di Norfolk, e di Elizabeth Pilfold Shelley –, ricevette la sua prima istruzione dal reverendo Thomas Edwards, parroco di Horsham. Frequenta in seguito la Syon House Academy a Isleworth e nonostante si distingua per una notevole capacità di apprendimento, trova la scuola “un perfetto inferno” e preferisce trascorrere le giornate leggendo romanzi gotici. Costretto a frequentare l’Università studia a Eton e quindi a Oxford, da dove fu espulso nel 1811 per l’opuscolo La necessità dell’ateismo (in realtà opera del suo amico Thomas Jefferson Hogg).
Fin dall’infanzia avversò ogni forma di tirannia, difendendo il pensiero liberale e ribellandosi apertamente alle istituzioni religiose e politiche inglesi, enutrì il suo amore del meraviglioso con i romanzi di Ann Radcliffe, che imitò in due informi opere narrative, Zastrozzi (1810) e St. Irvyne (1811); quest’ultima mostra anche l’influsso di William Godwin, il cui Political justice era divenuto il suo credo politico e sociale.
Alienatasi la famiglia per il matrimonio con Harriet Westbrook, nel 1811, vagabondò per due anni tra Inghilterra, Irlanda e Galles; distribuì di sua mano a Dublino il suo Address to the people of Ireland.
Il suo primo poema importante, La regina Mab (Queen Mab, 1813), in nove canti, è un’esposizione informe delle teorie di Godwin, ma contiene anche un annuncio della fede, che si andava maturando in lui, nello spirito della natura come spirito d’amore.
Venuto a contatto con Godwin nel 1813, s’innamorò della figlia di lui, Mary, con cui fuggì in Francia l’anno seguente e che poi sposò, dopo il suicidio della moglie Harriet, avvenuto nel 1816.
Nel 1815, in Inghilterra, compose Alastor, o spirito della solitudine (Alastor, or The Spirit of Solitude), la tragedia dell’idealista innamorato della bellezza ideale; poco dopo scrisse Inno alla bellezza dell’Intelletto (Hymn to Intellectual Beauty), in cui si fondono i due motivi della sua arte, la passione per la libertà e l’adorazione dello spirito della bellezza.
Nel 1816 s’incontrò a Ginevra con George Byron.
Attiratosi, per le sue idee e per la sua condotta, l’ostilità della società inglese, nel 1818 abbandonò l’Inghilterra per l’Italia. Poco prima aveva composto Laon and Cythna, poi intolato The Revolt of Islam, caotico poema narrativo, pervaso di amore della libertà e di fede nel destino dell’umanità. Una visita a Byron è immortalata in Julian and Maddalo, e il soggiorno, nell’autunno del 1818, nella villa di Byron vicino a Este ispirò le Lines Written Among the Euganean Hills.
Nella primavera seguente terminò a Roma i primi tre atti del dramma lirico Prometeo liberato (Prometheus Unbound): nella vittoria di Prometeo Shelley vuole mostrare la liberazione dell’uomo dalle catene che da sé si è forgiato e la sua suprema unione con l’anima della natura. Il quarto atto, scritto a Firenze qualche mese dopo, segna il vertice lirico toccato da Shelley. Nel 1819 scrisse anche la tragedia I Cenci (The Cenci), modellata sugli elisabettiani, mentre l’oppressione delle masse inglesi lo spinse a comporre La maschera dell’anarchia (The Masque of Anarchy); dello stesso anno sono Peter Bell III (Peter Bell the Third, pubblicato nel 1839), una satira su Wordsworth e la più grande delle sue liriche, l’Ode al vento occidentale (Ode to the West Wind).
Nel 1820 gli Shelley si trasferirono a Pisa, dove furono raggiunti da Byron. In quell’anno egli compose le celebri liriche A un’allodola (Ode to the Skylark), La maga di Atlante (The Witch of Atlas), The Sensitive Plant, le odi alla Libertà e a Napoli. Sul principio del 1821, infiammato dalla vicenda di una giovane chiusa in convento per aver rifiutato un matrimonio sgradito, le dedicò l’Epipsychidion, una autobiografia trasposta in cui viene svolta la dottrina mistica dell’amore; la fine di John Keats gli ispirò Adonaïs, appassionata meditazione sulla morte e la sopravvivenza; l’insurrezione greca contro i Turchi gli suggerì il dramma lirico Hellas. Nello stesso periodo scrisse la sua prosa migliore, Difesa della poesia (A defence of poetry). Nel 1822 si stabilì con i Williams (a Jane Williams dedicò una delle più squisite liriche: To Jane, The Recollection) ed Edward John Trelawny a Villa Magni, tra Lerici e San Terenzo.
Tornando da una gita a Livorno in barca a vela, naufragò durante una tempesta. Il corpo, recuperato, fu cremato sulla spiaggia, e le ceneri furono seppellite nel cimitero acattolico di Roma, presso la Piramide di Cestio. L’ultimo grande poema, The Triumph of Life, rimase incompiuto.
La lirica di Shelley, creatrice di miti, rappresenta, nei suoi momenti più felici, la quintessenza del Romanticismo. Assetato d’infinito, avverso alle religioni costituite, egli tende al divino per altre vie: il misticismo e la magia; da un lato si rifugia in una concezione platonica del cosmo, da un altro lato si eleva ad apostolo di una nuova religione, umanizza la natura e fa convergere tutte le aspirazioni della Terra verso un tipo più libero ed etereo di umanità.