Ancora su Ancestrale di Goliarda Sapienza (di Fabio Michieli su poetarum silva)
![]() Ancestrale
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autori: | Goliarda Sapienza |
formato: | Libro |
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Assediati giochiamo ai dadi assediati posiamo le armi e aspettiamo L'assedio finirà giochiamo Aiace l'assedio finirà (Goliarda Sapienza)
Se, come scriveva Garboli parlando di Alibi, la Morante era tentata da Achille, Goliarda Sapienza è stata tentata dal cugino Aiace. Sì, perché mentre Achille cercava la morte eroica, inseguendola continuamente, sprezzante degli ordini superiori, del pericolo, di ogni cosa troppo umana, Aiace invece, nonostante la stessa prestanza, la forza, e l’eroismo di certo non inferiori a quelli del figlio di Peleo, la morte se la procurò.
Goliarda Sapienza non fu da meno: si procurò la morte in poesia per poter rinascere in prosa, giocando una sua partita a dadi con la morte; anzi con le morti, nell’attesa che togliessero l’assedio alla sua vita: quella della madre prima, che pervade e percorre tutto Ancestrale; quella del padre, che, seppur anteriore a quella di Maria Giudice, è di segno diverso, quasi simbolo di un rapporto irrisolto e quindi relegata alla fine di questo strano canzoniere, quando tutto deve ritrovare una sua coerenza nella vita; quella dell’amica d’infanzia Nica, che per trasporto ricorda il dolore di Cristina Campo, ancora Vittoria, per la morte dell’amica dei primi anni fiorentini, Anna Cavalletti. E così, come in rito ancestrale, Goliarda Sapienza ogni volta muore per poi rinascere. Del resto, e lo dissi quando Ancestrale era fresco di stampa, questo libro è una lunga rielaborazione di un lutto. Ed è un aspetto ancora più evidente se si tiene presente che A mia madre è a tutti gli effetti la prima poesia di Ancestrale, dal momento che Separare congiungere… ha valore proemiale per la sua dichiarata valenza di poetica.
Non diversamente da molti canzonieri in morte che compongono la nostra tradizione poetica, Ancestrale non conosce una parte in vita: si apre con la lucida contemplazione di un lutto da dover superare; Goliarda Sapienza non ci parla, come Petrarca, de «i chiari giorni et le tranquille notti» (RVF, 332, v. 2), ma descrive immediatamente, in A mia madre, «i giorni oscuri et le dogliose notti» (ibidem, v. 10): «notte fonda», «mute le cose», «letto di terra», «silenzio di terra» sono tra le cose che l’attendono al suo ritorno dalla madre, quando non ci sarà nessuno a consolarla «per tutte le parti già morte/ che porta in sé/ con rassegnata impotenza», come a dire che lei non è Orfeo di sé stessa perché Maria Giudice non è Euridice. Goliarda Sapienza ha già dentro sé la morte, per sua ammissione. Il suo ritorno sarà là dove la madre l’attende, in quella bara che l’ha accolta. Sicché il sentimento dell’attesa appartiene tanto alla figlia quanto alla madre, che incarna anche l’assenza; e assenza e attesa consegnano al soggetto una maggiore capacità di percepire sia la memoria sia la realtà, elementi di base di ogni canzoniere in morte, che si tratti della Vita Nuova o dei Rerum Vulgarium Fragmenta, o che si tratti di esempi più prossimi agli anni di stesura di Ancestrale, come gli Xenia montaliani o le poesie di Luzi dedicate alla madre morta in Dal fondo delle campagne.
Assistiamo perciò anche in Ancestrale a quella che Francesco Giusti definisce la «risignificazione di qualcosa che è sentito, al presente, come assolutamente insignificante perché violentemente deprivato del suo significato.»[1] Ed è quanto riscontriamo in quest’altra poesia di Sapienza: «È predisposto./ La tua vita/ in riva al mare/ la mia morte/ in fondo al pozzo./ È predisposto,/ la tavola apparecchiata/ con vetri e con coltelli./ È predisposto/ da tempo/ il tuo tornare al mio/ pozzo d’acqua piovana» (Ancestrale, p. 24); qui i pochi oggetti sono funzionali a una riorganizzazione degli stessi, insieme ad altri sparsi nei vari componimenti,[2] per permettere la rielaborazione del lutto.
Le poesie diventano così l’archivio della memoria, ovvero quel luogo dove, citando nuovamente Giusti, «il soggetto è coinvolto in una ardua negoziazione tra la vita e la morte, tra pezzi di realtà discordanti e la loro trasfigurazione simbolica, affinché possa darsi delle ragioni per un evento irragionevole in se stesso […]. Per distaccarsi da quel legame doloroso, il soggetto prova a vedere in ogni pezzo di memoria richiamato alla mente e alla scrittura la prova della necessarietà di quella fine»,[3] affidando perciò alla scrittura questa funzione riparativa: «Ancora la memoria m’ha destata/ la notte intorno a me giace in spirali/ s’insinua fra i cuscini chiude gli specchi/ con scialli neri. Lontano/ il giorno tradisce» (Ancestrale, p. 42).
Eppure, in una continua ritualità, necessaria per il recupero di ciò che di più ancestrale appartiene al soggetto, si torna a vivere ogni volta: «Ancora una volta/ raggomitolata/ fra le dune di sabbia/ divoro il mio cadavere/ per aspettare/ il lucore che squarcia/ l’utero del mare» (Ancestrale, p. 44); è la luce che squarcia il buio a simboleggiare la salvezza in queste poesie, e il sole o la luce appaiono di frequente nei testi di Ancestrale, spesso volutamente nello stesso componimento per costruire una paradossale antinomia, perché comunque Goliarda Sapienza rifiuta tutto ciò che è conformità.
Di fronte a questa poesia innovativa nello stile, nei toni, nei modi e anche nei contenuti, c’è davvero da chiedersi come sia stato possibile che Ancestrale non abbia incontrato un editore sul finire degli anni Cinquanta.
© Fabio Michieli
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[1] Francesco Giusti, Canzonieri in morte. Per un’etica poetica del lutto, L’Aquila, Textus Edizioni, 2015, p. 101.
[2] In un’altra poesia, poco distante da quella appena riportata, leggiamo: «Un giorno dubitai/ e in piena luce/ cominciai/ a vedere l’albero/ il pane/ il coltello e la forbice/ il legno/ il rame» (Ancestrale, p. 33).
[3] Francesco Giusti, Canzonieri in morte, cit., pp. 124-125. Qualche pagina prima Giusti, riferendosi alla raccolta Birthday Letters di Ted Hughes, osserva che «la narrazione della storia […] aiuta il soggetto ad affrontare la perdita in un’urgenza autobiografica che non si può esprimere senza un certo grado di ri-creazione mitica del fattuale» (p. 118); si noterà come l’affermazione, presa con i necessari distinguo, calzi anche per Goliarda Sapienza, nonostante Ancestrale non sviluppi una vera e propria trama narrativa, ma si avvicini più al modus montaliano degli Xenia.