Anteprima Poesia: Gianmarco Busetto - La pelle o la devozione all'anima
![]() La pelle o la devozione all'anima
|
|
autori: | Gianmarco Busetto |
formato: | Libro |
prezzo: | |
vai alla scheda » |
[…] Poesie che vanno a comporre un breviario di vita, una liturgia delle ore, perché in Gianmarco la poesia è un credo e una devozione. Sono liriche dove la metrica, il lessico, la singola parola, la punteggiatura sono forzati verso un dire impellente, ma non per questo non meditato.
Il dire è quello dell’uomo di teatro che affida i suoi testi alla propria voce e viceversa, a quella dimensione recitativa che fa sì che voce e anima spesso siano indistricabili. Sarebbe facile però affermare che queste liriche, spostate al confine della non classicità, siano riconducibili unicamente al teatro, mestiere di vita di Gianmarco Busetto e sarebbe anche riduttivo collocarle solo in una dimensione recitativa.
[…] il timbro della parola poetica è assonante con il timbro della parola teatrale: una parola forte, spesso viscerale in quanto reazione alle cose, alla vita. […] Un viaggio speculare, un continuo rinvio lungo traiettorie indomabili, spesso impensabili, talvolta solitarie[…] liriche libere di andare tra chi le legge e le ascolta per sedimentare mondi altri. E questo è uno dei più grandi apprezzamenti per la poesia, il suo sapere andare, staccarsi dal suo autore e venir presa da chi la incontra.
dalla prefazione di Anna Toscano
dalla sezione LA PELLE
Tra le pieghe di questa pelle
ho visto le baionette di Waterloo e
il rosseggiare di Hiroshima
l’agnello scampato al macello e il vecchio toro ferito
la seconda classe di un qualsiasi treno
una vecchia Lincoln sul Malecon dell’Avana
l’autunno più dell’inverno
e sguardi crudeli, tregue sdraiate
abbracci stanchi e rischiose pietà
il verbo cambiare, il verbo scappare
il sacrilegio di un voler morire
e domande per occhi pericolose per l’anima
domande per occhi come siringhe per gli occhi
e lividi insanabili che ancora provano risposte
vangeli selvaggi, bocche selvagge, infanzie scordate
bottiglie di chianti destinate a raccogliere cenere
film da vivere e vite da girare
e poi emicranie, coliche e battaglie
pianti per quel piccolo cane che somigliava a Carlo Magno
pianti per chi ha lasciato queste scarpe vedove delle sue mani
questa voce vedova della sua luce
e gli amici, gli incensi, la frusta e lo scandalo
il sapere che nulla è irrinunciabile se non il respiro
cuori casti e braccia vendute
pronunce francesi e ovunque ferite
la piana di Filippi, la schiena trafitta e ovunque ferite
dimenticate
nel nome di improbabili dolcezze
mal ricucite
con il filo di una finta pace
Resistenze
nelle tasche oggi mi ritrovo una domenica di passi molli
un fox-trot di nervi che scoppiettano sotto la coperta
un jazz di parole sciolte che i concetti provano ad addensare
e carezze oscene e rum e tisane
lo scandalo di inguini corrotti in una calle stretta di baci
un’improvvisazione lungo la linea del cedimento
e storie improbabili di donne volgari che
hanno venduto dio in cambio di un uovo
oggi le mie tasche non hanno preghiere
non hanno pazienza, sanno
che se l’amore è un mercenario
io sarò il suo nemico peggiore
che per ogni bacio atteso
strapperò un’indecenza
da dire al sacrario delle puttane
sanno che chiunque ha qualcosa da perdere
fosse anche solo un nome, una forcina
l’indirizzo di dove smette il pericolo e abita l’atroce
dalle mie tasche oggi spero il rumore dell’abbaiare
incidenti stradali e sale da ballo stracolme
il deragliare del treno, il piede pestato
i giovedì di Plaza de Mayo
perché se è vero che dove c’è silenzio c’è anima
non sarà facile per niente far finta di nulla
non sarà facile dover dire
«e così questa saresti tu?
vieni, andiamo a fare due passi»
dalla sezione LA DEVOZIONE ALL'ANIMA
Canto della pazienza
se non posso cancellare la neve
piegare le lame
se non posso spegnere tutti
gli incendi del mondo
posso comunque nutrire
cucire ferite
coprire geli
e scaldare silenzi
se non posso io cambiare
tutto quel che cambierei
se non posso potere
tutto ciò che vorrei
posso comunque consolare lamenti
accompagnare zampe fragili
stringere paure
e incoraggiarle a speranze
e se tutto quel che io posso
non basta
allora aspetteremo sera
quando il buio perde le facce
quando le vene si fanno più larghe
quando anche un perdono
è misurato
nel sussurro di un «grazie»
Piccolo commiato per acqua e voce
ho smesso di pensare
ho smesso di parlare
non è più tempo
lascio all’acqua del mio corpo, ora
l’ultima traccia di voce, piccola
i pensieri sono esausti di carestie
le parole logore, sfinite
in inutili passeggiate
di promesse
nell’abisso di tiepidi
pomeriggi da giardino
ho smesso di provare
ho smesso di sentire
non è più tempo
lascio all’acqua del mio corpo, ora
l’ultima speranza di anima, piccola