Anteprima poesia: (In)difesa umana di Alessandro Vetuli
![]() (In)difesa umana
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autori: | Alessandro Vetuli |
formato: | Libro |
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Brindisi: il 19 maggio 2012, alle 7,42, davanti all’Istituto Statale Professionale per i Servizi Sociali “Francesca Laura Morvillo Falcone", esplode un ordigno: muore Melissa Bassi di sedici anni, gravissima una sua compagna, Veronica Capodieci.
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Questo poeta che osa, si schianta, si perde e ritrova in un gorgo di cronaca, parole, immagini, cosa sta cercando? Forse che la poesia possa, di fronte a un fatto tremendo come quello della scuola di Brindisi, alla morte di Melissa, o a dolori più privati e ctonii, sacri, trovare il bandolo, dire la verità, essere una dizione più esatta o più pura delle cose? Insomma, cosa spera – questo poeta ragazzo che si mette a frugare nelle coscienze degli assassini, delle vittime, nelle loro piaghe, e nei silenzi del non detto – pensa forse di cavarsela con la poesia?
Alessandro è un bravo poeta, ha versi di bellezza struggente e testi di sorprendente forza e autenticità. Non se la caverà. Non troverà se non più mistero, più sperdimento, più consegna al segreto del mondo che lui qui bene interroga, investe, cura.
Una forza meridionale, filosofica, scabra lavora nei suoi testi insieme a un concerto meridionale, delirante, barocco. Questo incrocio è il suo impasto.
Ne risulta una tessitura forte e immaginifica (in certi punti davvero, davvero ammirevole) e una tensione che non cede quasi mai alla retorica.
Qui si fa un’altra cosa dalla perifrasi, dalla metafora, dalla leggerezza. Un funerale, uno strepito, un pianto, una memoria, un’offerta. Tutto quello che sta prima e dopo la letteratura, dove stanno, ognuna per proprio conto, le tre sorelle tanto vezzeggiate in apparenza quanto maledette in realtà dai presunti nuovi sapienti e dai nuovi tecnocrati: la poesia, la fede, la gioia dura. Insomma, Vetuli temo che sia spacciato. Evviva.
dalla prefazione di Davide Rondoni
La grazia. Alessandro Vetuli si immette nel flusso di una vicenda tanto drammatica e dolorosa con la forza della grazia per operare la sua e nostra salvezza.
[...] Alessandro chiede molto alla poesia. Chiede tutto. E in questa pulsione non siamo mai lontani dal sacro, anzi, gli lasciamo continuamente dei varchi. Perché abbiamo bisogno di soccorso, bisogno di perdono, bisogno di forza.
[...] Nel secondo capitolo, Cella d’isolamento, trovo, assecondando la traccia che mi sono data, un unico appiglio: «C’è un Dio da qualche parte» – e prosegue «che passa continuamente le sue unghie/ sulla lavagna del cielo/ per farmi capire che suono ha la colpa». Ed è un verso che dice l’orrore che stride tra le fibre muscolari. Serve, quel Dio, a sentire il dolore in tutto il corpo. Qui la parola è all’assassino. Alla prima lettura, forte è stato l’istinto di ripulsa per i versi qui raccolti. Parole di comprensione, di umanità, di con-divisione, di porte lasciate aperte. Alessandro ha lavorato molto. Ha lavorato molto su ciò che è bene e su ciò che è male ed è riuscito a sottrarre il giudizio alle parole con cui ci dice di Caino. C’è un grande senso morale senza giudizio morale.
[...] Nel capitolo successivo, Bende della parola, trovo: «tracci una lingua/ che sappia d’incenso», il «Cristo fluorescente», «la chiesa riempita», «Anna davanti alla chiesa». Entriamo in un luogo consacrato dalla presenza decostruita di Melissa. Qui il lavoro è nel cuore del senso della poesia. Il noi che si interroga è diretto, non indugia davanti ai particolari dei corpi. Li apre, quei particolari, con la voce di Melissa, di Anna, di Veronica. E c’è una forza inaudita in Alessandro che fa scorrere la poesia sulla cute bruciata a raccogliere il senso che le rimane. E a riconsegnarcelo.
Negli ultimi due capitoli Lingua Madre e Come si scrive la parola «Vita» resta la sagoma di un angelo e le corone di spine liberate nell’acqua. L’Angelo e la corona di spine, la protezione sovrannaturale e la sofferenza incoronata. Io sono piuttosto sfinita da questa lettura, ho un malessere diffuso. Si concentra nelle viscere, soprattutto. E per di più ora c’è la Madre! E quella morte che spinge sull’altalena la vita che non mi piace per niente. Cos’è questo improvviso, inutile intenerimento? Il profumo del ricordo? Ero grata finora di una certa scarnitudine. Piano però, trovo pace nel bianco, nel Coro finale della poesia: «tutte conoscerete/ la temperatura innocua di queste parole». Verso magnifico e quieto. Come una madre. E anche le mie viscere paiono calmarsi. E poi ci sono le cose che contano davvero. La declinazione delle cose necessarie. Torna il noi senza paura, che dà un nome alle cose, quelle importanti. Che fanno inesorabile la vita.
dalla postfazione di Antonella Bukovaz
dalla sezione PRELUDIO ALL'OMBRA
Brindisi.
Tumore di roccia e urlo prolungato dei vivi.
La bocca senza più denti della madre
che inghiotte un velo nero
fino al soffocamento.
Scarpe da ginnastica sull’asfalto caldo
e i piedi separati dalla crepa
che si apre tra le gambe
quando non vedemmo più nulla,
dopo il braccio che nuotava nel fuoco.
dalla sezione CELLA D'ISOLAMENTO
Come posso scrivere di te, o anche solo parlare...
macchia nel telo bianco, anello sbagliato della catena.
Quando l’elica del tuo dna
era l’immagine di una ragazza
sbattuta sulle fiamme come una coperta
a spegnere il fuoco
o la fenice ritornata passero.
Che cosa vieni a chiedere alla poesia ?
Solo carbone che non sia umano,
solo legna per questo inverno.
E un sasso
per disegnare i miei ultimi giorni
e una poesia
per spiegare che il perdono oggi
non ha debiti ne debitori.
dalla sezione BENDE DELLA PAROLA
Mesagne al propano,
al posto della bandiera
sull’asta sventola uno zaino lacero
issato dai patrioti della cultura
con le falangi e le nocche scoperte.
Mesagne libri da combattimento
e una Termopili di giovani davanti ai cancelli,
gli stessi che videro il Cristo fluorescente
risplendere nel fumo
cucito
e non più inchiodato
sui giubbotti della croce rossa
e dei vigili del fuoco.
Gli stessi che con la fuliggine nella retina
testimoniarono la sua inermità,
contro un solo dito dell’uomo
ionizzato dal tuono
pronto a liberare la scarica
al comando dell’unghia.
dalla sezione LINGUA MADRE
Madre ultimo ricordo.
Madre segno.
La prima volta che morsi il suo seno era per fame,
l’ultima perché mi sentì morire.
Madre primo ricordo.
Prima cosa che vidi e non vidi
scivolando giù nella carne
fino alla finestra dell’utero.
Madre continuo.
Legame fra il cielo e la terra
legame tra il ramo e l’oliva,
energia che si passano
due mani allacciate in sala parto
per la spinta finale.
dalla sezione COME SI SCRIVE LA PAROLA «VITA»
Le corone di spine liberate sull’acqua
la brutta copia del tema, tutto questo non conta.
La regata di barchette di carta
la bella copia del tema
e un volontario della classe
che venga alla lavagna
e ci dica una volta per tutte
come si scrive la parola «Vita»:
questo conta
e le voci più umane
che mi hanno dettato questa poesia.