Anteprima Poesia: Wanda Marasco - La fatica dello stormo
![]() La fatica dello stormo
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autori: | Wanda Marasco |
formato: | Libro |
prezzo: | |
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In uscita per fine marzo -
Wanda Marasco prosegue in questo libro il suo profondo colloquio con le ombre. Prosegue il suo dialogo con le «chiare o cupe cicatrici di chi è passato». E qui il passato non è solo il tempo perduto, ma è un tempo in perdita, in continua e incessante perdita: si intreccia al presente, e lo fa più vivo e tragico, lo abbraccia in una stretta amorosa.
La fatica dello stormo è un libro notturno. E lo è non solo nelle numerose sequenze immerse nell’ombra, ma sempre. Anche quando la scena appare diurna, Wanda Marasco sa cogliere di questa scena la parte più segreta e segregata, «rogo nascosto sul retro della stella», «orbita scura del pensiero», «povero segreto di una crepa», «lacrima orfica», «bisbiglio dell’anima tornata», «bianca antinomia».
C’è uno strapiombo che abita questa poesia e le conferisce tanta potenza drammatica, il senso di un esilio ardente. E c’è anche una istintiva facoltà di collegare cose lontane e trovare il nesso occulto, l’intreccio violento e suggestivo degli opposti. Perché di una lotta tra opposti qui si tratta, di una battaglia all’ultimo sangue tra parti di sé che non si conciliano e restano ferme a scrutarsi, pronte all’attacco.
Milo De Angelis
Quando per noi muro per muro
è la nevosa piega del silenzio
quasi un cammino
avrà ragione il cielo
ad apparire sfondo
di un volo stanco
o dell’innamorarsi illuso.
Mi chiedo se può
contro la luce
il corpo farsi pozza viva
mancare come mi manca
il sogno di tornare.
Dimmi se il lato triste delle cose
a volte sa splendere nell’ombra.
Se ripossiede il rogo
nascosto sul retro della stella.
Resta con l’oro la spettrale insidia.
Ma l’oro è falso e tu sei andata via.
Esco per strada
sento le tante spinte plumbee dentro.
Una ragazza corre
un grido la insegue.
La guardo
con gli occhi appannati dalla pioggia
e vedo il velo in cui svanisce amore
e dietro il corpo il lampo che seduce
spinge la cicatrice a uscire
più dell’addio fuori dalla pelle.
So che mi regge ancora la tua mano.
Vorrei vibrare sotto un fiore
solo per te quel giorno
dirti come si deve dire
che un’onda fino a te mi porta.
Ti sento, sai.
Perché non era solo amore umano.
Sento il tuo bianco sangue
trabocca ancora
spirito e senso verso di me.
Sussurra
come può esistere il perdono
tra i due quella pietà di sé
che in forma di dolore
a volte ci geme.
Questo volevo, questo voleva
l’oriente voltato nel suo sole,
che perdonassi
perché non abbia oblio il ricordo
di quando m’inseguivi.
Dietro di me volavi
facevi la fatica dello stormo.
Oggi l’umile prato non basta
a fare la cinta della terra,
il quadrato confuso
dall’unghia della merla
o dall’altra misura
della rosa sfebbrata.
Quando tornai
sul lato in luce
piantai la rosa.
La casa era un ricordo
che non volevo perdere.
Volevo che fosse il vizio di adorare
il racconto del giorno,
lungo il muro fiorito
dove il giardino sembra non finire
non vuole finire
mentre un’ombra lo perde
un chiarore lo prende.