C. Annino su Frisa
![]() Ritorno alla spiaggia
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autori: | Lucetta Frisa |
formato: | Libro |
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Cristina Annino, Dentro al canyon di Lucetta Frisa.
In “Blanc de ta nuque”, di Stefano Guglielmin, 26/11/2009 e “La Clessidra”, anno XVI, n. 2, novembre 2010)
[…] Il motivo dell’identificazione di se stessa con le cose torna più avanti, in una sintesi fulminante, dall’esistenza prenatale fino ad oltre la morte della madre; ora la fusione non è più con gli oggetti o l’ambiente, ma con l’essere che è più vicino ad ognuno di noi, e quindi, per antonomasia, con tutti gli esseri umani – noi e l’altro da noi, il fuori e il dentro: “Dentro di te ho saputo/ lo splendore di non capire e di essere/ la gioia del respiro e del sonno./ Questo non lo seppellirò con le tue ossa / Se scorre nel mio corpo/ scorrerà fino alla fine/ perché tu viva ancora un po’./ Nulla di te deve andare perduto. Nel giorno del suo compleanno, la madre morta continua a vivere nella stessa spiaggia: “Fuori di te/ nel mio corpo continui a vivere/ e nella sabbia smossa dai bambini”.
Poi ci sono altre spiagge, altri mari, e isole: Ischia, la spiaggia dell’Ariana, e si torna a Genova; inoltre, da lontano, si vede o immagina Lisbona e l’Atlantico, oltre ancora l’America, finché avviene il miracolo […] In tutti questi luoghi, l’anima di Lucetta rievoca il tempo e insieme vive fuori dal tempo, osserva i fenomeni della vita con occhi spalancati e contemporaneamente sembra volersi abituare alla morte come ad una compagna di cammino. […] Ma l’esercizio della morte non impedisce ai versi di questa raccolta di essere impregnati da una luce particolare: emanata dalle ore del giorno, dal cielo, dall’acqua, dalle stagioni, pervade anche gli interni, le stanze, gli specchi, e fa tutt’uno con quella “gioia piccola” che deriva dall’insegnamento materno. “Oh la bellezza/ nessuna macchia/ siamo belli e chiari anche noi/ accecati da lei che ci punge le pupille/ con un bruscolo nero”.
Dalla luce si torna al buio della morte, ma non c’è contrasto, gli opposti si toccano o forse sono pura umana illusione: “Se nel corpo c’è limite e sconfinamento/ arriverà il momento d’incontrarci e sparire/ nel fiato/ che esita/ poco più avanti a no”.
Elemento intermedio fra la luce ed il buio è la polvere, che si insinua nel giorno e nasce, forse, di notte: “Volevo scrivere un poema sulla polvere come un’immensa spolveratura/ mi avrebbe lasciato più quieta forse un po’ meno ansiosa ma quando/ si parte dal grande non si raggiunge nulla neppure/ una sillaba bisbigliata./ Cominciamo dall’inizio: io, la casa e la polvere – tutti i giorni”.
La polvere ritorna in Porta rosa, evocata da una defunta antica che torna alla ricerca della sua casa, piegando i muri con la sua voce, e si sofferma indecisa sulla soglia fra i due mondi: “La luce – questa – potrà soccorrermi? Il suo respiro/ ha traversato le parole dei saggi. Sento/ il suo fuoco leggero bruciare il mio velo nero.…./ Mi affido per sempre alla sua polvere”.
Qui finisce l’elegia della luce, del buio e della polvere.