D. Maffia per S. Martino
![]() La metamorfosi del buio
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autori: | Salvatore Martino |
formato: | Libro |
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SALVATORE MARTINO, La metamorfosi del buio, Milano, La Vita Felice, 2012
Cominciamo dal titolo: La metamorfosi del buio. Il buio dunque può trasformarsi, diventare altro, uscire dalla pesantezza della cecità per farsi che cosa? Per farsi luce, una luce tutta personale e avvistata nel ritorno della poesia con “la sua equivoca trascendenza”.
Una dichiarazione di poetica consapevole e sentita, un offrirsi al lettore interamente, fuori da schemi e da sotterfugi.
Salvatore Martino è uno dei rari poeti odierni con alle spalle un lungo e rigoroso tirocinio che lo ha visto scavare a fondo in ogni direzione, fare un corpo a corpo con la metrica, corteggiarla e tentarla per dimostrare, prima a se stesso e poi agli altri, che poeti si nasce, ma grandi si diventa combattendo in trincea giorno dopo giorno, verificando, soppesando, togliendo e aggiungendo un aggettivo, una espressione inutile, una sillaba, arrivando a comporre sonetti impeccabili. Ecco perché Donato Di Stasi, senza mezzi termini, afferma: “qui si è in presenza di arte grande e di poesia vera, capace di sommuovere la banda smorta dei compilatori di gazzette letterarie”.
Non è il caso di aprire un dibattito sui compilatori di gazzette, ci distrarrebbe dalla poesia di Salvatore, ma en passant voglio soltanto invitare a pensare che cosa è successo negli ultimi decenni durante i quali ci hanno obbligati a credere che la poesia sia una semplice comunicazione cronachistica offerta anche male, con allusioni che non sono tali, con la chincaglieria di sperimentazioni al limite di qualsiasi decoro e dignità.
Ma i vari Cucchi, gli Zeichen, i Franco Loi, le Lamarque, i Delia, i De Signoribus, hanno mai letto un classico o un contemporaneo che si chiama Lucrezio, Baudelaire, Borges, Herbert, Lorca, Valery, Quasimodo? Sono mai entrati nei palpiti di sentimenti che sanno scuotere le fondamenta del cuore e del sociale?
Salvatore sì, con naturalezza, con efficacia, col suo passo cadenzato. E rimuginando è riuscito a trovare la sua voce, limpida, fuori da influssi, tanto che leggendo il libro si ha l’impressione che tutto sgorghi da un tempo senza tempo, da occasioni metafisiche nonostante la presenza della realtà colta però dai “suoi” occhi, dalle “sue” percezioni che immediatamente la modificano e la rendono altra da quel che si presenta.
Credo che ormai non si possa fare a meno, per comprendere fino in fondo La metamorfosi del buio, del magnifico ed esauriente saggio di Di Stasi, ma anche per comprendere tutta l’opera di Salvatore con le sue evoluzioni e la calca degli ossimori che così leggono la storia personale e la storia universale dai quattro punti cardinali, a dimostrazione della libertà di spirito che lo contraddistingue. Donato Di Stasi ha analizzato con rigore e convinzione arrivando a parlare di “realismo oggettivo”, di “realismo magico” di “simbolismo”, e di “allegorismo” aprendo quelle “porte del labirinto” che permettono di navigare per i mari aperti della lirica nutrita di riferimenti precisi e di risonanze che arrivano da lontano, dal patrimonio degli archetipi annidatisi nell’esperienza del poeta che però ha saputo disossare sensazioni e percezioni, accumuli e abbagli rinnovandone la forza semantica e trovando un modo personalissimo di esprimersi.
Comunque nonostante che Di Stasi abbia mietuto a piene mani, proprio perché la poesia di Martino è doviziosa e a tratti sfuggente, si trovano ancora argomenti che la riguardano, com’è naturale che sia quando un libro è ampio, profondo, vero. Del resto, come ha detto e ripetuto Borges, i libri hanno vita eterna e ogni volta che vengono letti mostrano un volto diverso. Ovviamente se si tratta di libri nati da autentica necessità, come in questo caso.
Perché manca la punteggiatura in tutte le duecento cinquantadue pagine? Non è soltanto per ragioni poematiche, ma per rendere fluido il discorso all’estremo grado, per trasmettere la sensazione che tutto si muove circolarmente e senza interruzioni, per affermare una libertà espressiva che non ha bisogno di pause per arrivare a sciogliere gli “artigli dell’oscurità”.
Nel libro c’è un immenso dolore che grida, una di quelle sofferenze che nascono da antiche ferite e che nel dilacerarsi sanguinano ma, a un tempo, affermano l’inno della gioia alla vita. Non si tratta di contraddizione, ma di combattimento tra bene e male, tra ferocia e tenerezza per arrivare alla conclusione che banalmente noi chiameremmo logica e che è invece decisamente etica:
“Se tragica o serena
inquietante talvolta o generosa
sopra di noi scivola la vita
tentiamo di violarla col sorriso”.
Il libro è denso, si muove in mille direzioni, affronta tematiche diverse tra loro, mostra che il poeta ha una conoscenza ampia del cinema, del teatro, della fotografia, della pittura, dei libri, della vita nelle sue varie ramificazioni, eppure vola leggero, accende i lumi e va oltre, falcidia e ferma lo sguardo, irrompe nei riflessi del passato e lo abbandona, cammina sul ciglio dei burroni e sta in perfetto equilibrio, suona strumenti archeologici e a fiato, dissesta le significanze e le recupera poi quasi nei sottofondi marini, corregge dissonanze e accende lumi ovunque, si espande nel miagolio dei gatti, nei paesaggi dipinti da un Rosai veterano e malinconico (Approdo all’alba), nelle “rimembranze” (non uso a caso il termine leopardiano) di drammi e di tragedie.
Salvatore Martino sa affrontare gli argomenti senza mai neppure farsi scalfire dalle prospettive della difficoltà e può farlo perché, come Goethe, egli odia la matematica “maledicendo sempre la partenza”. Eppure il libro è un viaggio. Dunque? Maledicendo la partenza che presuppone un approdo, non quella che lo porta in giro per il mondo, alla conoscenza, al tripudio del senso.
Non molti poeti si consegnerebbero così apertamente al lettore senza una maschera, ma forse perché a volte Salvatore l’ha indossata in teatro adesso non è disposto a ripetere la pantomima e si apre, e cerca la sintonia per farsi accompagnare nel “Viaggio ai confini della stanza” (con De Maistre e con Garcia Lorca) senza sapersi decidere
“se prendere il cammino
o abitare la casa che ti chiude
il campo che imprigiona la tua fuga”.
Poesia che nasce come un vento caldo che si posa lieve su uomini e cose ravvivandoli di quel lievito universale che sa dare un nuovo battesimo alla parola quando il miracolo dell’esistere permette di condensare dentro le sillabe la magia che insegna “ad ora ad ora come l’uom s’eterna”.
Dante Maffia