Deborah Mega per Floriana Coppola
![]() Mancina nello sguardo
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autori: | Floriana Coppola |
formato: | Libro |
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Deborah Mega per Floriana Coppola
“Mancina nello sguardo” di Floriana Coppola, per i tipi de La Vita Felice, è una silloge dedicata alle donne ad eccezione delle erinni, delle sultane e delle vampire, scrive la poetessa, e agli uomini “ma non a tutti” in particolare “non a quelli che ti chiudono tra quattro mura e lo chiamano amore”. Già in apertura dunque una dichiarazione d’intenti seguita subito dalla prima poesia, il cui incipit “Cibo parola / poesia come pane” attesta il nutrimento che la poesia stessa garantisce, nonostante la si strappi a brani “tra le corse affannate / di prima mattina”. Pur nutrendosi di vissuto ed esperienza è poesia che nutre a sua volta; l’autrice scrivendo indaga quella parte del femminino la cui naturalità è stata repressa addomesticandola e ingabbiandola in regole e costrizioni.
Per Floriana Coppola la scrittura diviene infatti modo privilegiato per dare conferma di sé e condividere generosamente la propria quotidianità fatta di priorità, “elenco essenziale da portare in tasca”, sogni, gesti, speranze, attese, delusioni.
Paola Mastrocola afferma che “scrivere poesia è per le donne trovare un luogo depositario dell’autentico” essendo la scrittura femminile, forse più di quella maschile, costruita sulla ricerca della verità; “scrivere è riflettere su se stesse, riflettersi, piegarsi dentro e lì dentro guardare, a costo di trovare il buio e l’orrore”.
Rappresenta per la donna l’identificazione, la conferma di sé come individuo e come genere. Forse è proprio per questo che la scrittura delle donne, anche nel trattare temi autobiografici, evidenzia tutto il suo coraggio e il suo rigore.
Scrive Floriana che perfino “il passato scorre in vena, si incunea nei solchi amari di ogni pensiero… diventa espiazione e scrittura”, “nodo che soffoca”; in particolare le donne “ricordano i dettagli / questo è il loro tormento”.
Trasmette anche una lezione tra una poesia e l’altra: resistere ed evitare ogni risentimento, “colla acida che inchioda le ossa / al petto e poi vischiosa ti lega alla terra / diventa cibo quotidiano e trancia le ali al sogno”, inoltre imparare a “guardare l’altro e l’altrove che esiste in ognuno di noi.”
È importante il saper cogliere, percepire ciò che ci circonda, “Cerco oltre il visibile / cerco l’immanente / ciò che rimane escluso”.
“Quando scrivo, sono pura sensibilità” scriveva Virginia Woolf in una pagina di diario datata 22 agosto 1922, riferendosi allo stretto legame che lega l’arte in modo inscindibile alla poesia e alla conoscenza.
Allo stesso modo Floriana Coppola è attenta a quanto la circonda, scrive infatti “io sono cento occhi…e cento bocche aperte / oranti orifizi profezia e delirio”. Nè vuole sconti, risarcimenti, riscatti, espiazioni, perdoni.
Non mancano immagini fiabesche o oniriche che denotano un ricco e variegato mondo interiore, “la bambina invisibile trattiene il respiro / aggrappata alla chiglia bianca / della luna capovolta/ nel suo bicchiere di latte”; emergono ricordi del passato che ancora aggrediscono e segnano, inevitabilmente, “in grumi compatti e ferite, cicatrici nere indelebili come nebbia improvvisa che incatrama le vesti”.
Floriana richiama la parabola delle vergini savie, anche lei si apparta ma resta sveglia, in attesa, perché “ogni distrazione può essere indecente declino”, solo talvolta si concede una sosta per cantare. Di qui il valore catartico e terapeutico della parola “ciò che non posso dire lo scrivo / e consegno muta me stessa alle cose”.
In “Basta che io non ci sia” c’è impegno civile, indignazione per le ingiustizie attuali, più di un pensiero è rivolto ai cassaintegrati, agli emigranti, ai disoccupati, agli abusi, all’inquinamento, a tutti i mali della società contemporanea.
Scrive ancora la poetessa “la poesia allunga le ombre dei morti…diventa conoscenza di sé dell’altro”. E la memoria è come la poesia, “un coltello affilato / sul dorso della mano / incide nella carne ciò che non so decifrare”. La vita invece “è un percorso verso l’estinzione e la perdita”, in essa gli uomini, ciascuno immerso nella sua solitudine, non sono che numeri, conti in banca, tessere, carte d’identità, vuoti a perdere, polli di allevamento con un difetto di fabbrica, il desiderio e la capacità di amare.
La predilezione del prosastico, la dote visionaria, la ricchezza del lessico rendono piacevole e avvincente la silloge. L’intuizione creativa, permette di giungere alla verità del nostro essere, è strumento di mediazione per la conoscenza. Quando la scrittura nasce proprio lì, nel territorio inesprimibile oltre le parole, tra vibrazioni impercettibili e tinte d’anima soffuse, resta, viva e vitale.
Deborah Mega