Elvira Rossi su Cultura femminile per «Nella carne e nel sangue rugge una madre» di Rossana Bacchella
![]() Nella carne e nel sangue rugge una madre
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autori: | Rossana Oriele Bacchella |
formato: | Libro |
prezzo: | |
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La silloge poetica “Nella carne e nel sangue rugge una madre” di Rossana Oriele Bacchella con ricchezza e varietà di sfumature tratteggia l’infinita storia dell’amore materno e sembra essere ispirata da un bisogno inconscio di placare un dolore mai vinto.
Gli elementi biografici che con discrezione si lasciano indovinare restano sullo sfondo, per cedere a una rappresentazione universale di una femminilità che si esprime nell’accoglienza della vita.
Madre-figlia-madre, anelli levigati, screpolati, arrugginiti oppongono resistenza a ogni taglio.
Un legame potente e indistruttibile si prolunga nel tempo.
Una presenza straniera invade e occupa il corpo e l’animo di una donna.
La creatura che naviga nel suo grembo le chiede asilo e mentre rivendica il proprio diritto di cittadinanza opera uno sconvolgimento nella vita dell’altra, che potrebbe averla chiamata, desiderata o incontrata per caso.
Due cuori che per un tempo breve albergano nella stessa cavità si preparano ad affrontare un’avventura dagli esiti imprevedibili.
“Nel mare del tuo grembo
ancora incompiuta mi nutrivo
nuova e straniera
e perché straniera non nascessi
il tuo passo cullava come l’onda del mare
quando ti vengo a cercare.”
L’immagine della madre non viene mai deificata o idealizzata e il lirismo, pur non concedendo nulla agli elementi descrittivi, non le sottrae un volto di verità.
“Nella carne e nel sangue rugge una madre”, il mito si risolve nella esaltazione della arcaicità e centralità della figura materna che principiando dalla scomposizione e ricomposizione del Caos racchiude l’anima segreta del ciclo vitale.
La stirpe di donne deriva “dall’utero bugiardo della Notte” e conserva le imperfezioni e il mistero delle antiche divinità.
Nelle liriche una variazione di prospettiva, transitando dalla madre alla figlia e viceversa, rimescola passato e presente.
Il primo bacio della mamma è consolatorio e propiziatorio e l’incontro con la madre è una sorta di iniziazione alla vita.
“Difesa dal suo scudo
affrontai la mia guerra,
non sapevo d’averle lasciato
in ostaggio il cuore.”
Per la bimba nei momenti di smarrimento non c’è nulla di più rassicurante che ritrovare la mano della madre.
E fin dal primo giorno di vita la realizzazione della felicità appare un bene vacillante e difficile da conquistare.
“Se il primo giorno fui felice
non lo rammento.”
La madre illumina i sentieri, costruisce oasi di pace, conforta, accarezza, tuttavia possiede anche “mani secche” per punire.
A rompere l’incanto dell’innocenza, presto si rendono visibili i segni premonitori di un tacito conflitto per il raggiungimento di una naturale emancipazione.
Un linguaggio giocato sulla ambiguità e l’accostamento di termini antitetici preannuncia lo scontro.
La madre è una fortezza che protegge e isola, rinserra e spalanca l’uscio.
Se le porte della fortezza per lungo tempo restano ferme, prima che essa diventi una prigione occorre svincolarsi.
E le scorribande piccole o grandi della figlia parlano di un desiderio di libertà che la madre può assecondare, ritardare, ostacolare.
“Nella prigione fortificata
dorme però serena una bimba
padrona di piccole scorribande
fuori da te
intorno a te.”
Nella poesia “Tra eschimo e cappotto” si percepisce l’oscillazione tra una inclinazione alla ribellione e il bisogno ancora vivo di un approdo certo.
Nella fase iniziale del difficile cammino in direzione dell’autonomia, a vincere è il legame non ancora infranto tra madre e figlia.
“…tornavo al paradiso perduto
come calamita trova il ferro
come il carro del sole caccia la notte.”
Il mistero della vita è trattenuto dalla simbiosi di due creature simili a fiumi, che si diramano dalla stessa sorgente, scorrono paralleli e tornano a incontrarsi alla foce, prima di riprendere l’eterno cammino.
Un’unica storia d’amore con il trascorrere del tempo verrà riscritta da due differenti identità.
Lontananza e vicinanza convivono nello stesso viaggio di un amore che si protende verso l’infinito.
Il dolore della perdita è un elemento costante che ritorna in molte liriche.
Un dolore che si riceve e si trasmette.
“Graffiandomi il viso
piangevo un dolore antico.”
La madre quando si perde?
“Quando ti ho persa
mamma
e tralasciato
di penetrare il mistero del suo seno.”
Il “ventre disadorno della madre” è il primo annuncio di un distacco progressivo, tuttavia neppure la morte rende definitivo il commiato dalla madre.
Il filo di congiunzione, pur strattonato e persino usurato, resiste all’assenza fisica e la rottura totale non si consumerà mai.
I piani temporali s’incrociano e quando l’assenza patita nel presente incontra la memoria del passato, il tono diventa nostalgico ed evocativo.
“Nella paura di perderti
davo sostanza alla paura tua
piangevo le tue lacrime ingoiate.”
Una esplorazione della propria interiorità proietta in una dimensione onirica fasci di luce che lasciano emergere dall’ombra emozioni e fantasie dell’infanzia.
La figlia rivive le contraddizioni, i contrasti, l’ansia giocosa, che animavano l’impeto gioioso ed esitante verso la vita.
E mentre riabbraccia la bambina affascinata dalla ingenuità e dal coraggio di Ariel, con trepidazione prova a imitare le mosse di una spavalda trapezista che mantenendo l’equilibrio prende slancio in un vuoto senza rete.
Delle fiabe ascoltate le resterà l’incanto e delle fantasie scoprirà la finzione.
I giorni le si svelano nella loro trasparenza lasciando cadere la cortina che offusca la realtà.
Ariel non muore, si rinnova e si carica di una nuova energia vitale.
“Ebbre di vento e movimento
insieme ci ricuciamo in volo.”
Le ore in fuga non distruggono il legame incorruttibile madre – figlia, lo rimodellano, lo plasmano, lo affidano a una maggiore coscienza di sé.
Bella e significativa la lirica “Dietro la porta” dove lo spazio interno e quello esterno, che simulano un passato e un futuro, si scambiano i ruoli e si ritrovano in un dialogo continuo.
“Dietro la porta
ascolto attenta
attendo l’ora
il minuto
l’attimo in cui aprirai
attendo l’ora
il minuto
l’attimo
in cui spalancherò la porta.”
La disarmonia del tempo non ha concesso alla figlia di condividere con la madre la gioia di stringere tra le braccia la propria creatura.
“Non so tornare
hai sussurrato
ma tu
fai luce nella tua mano.”
Sentimenti di tenerezza e sottile malinconia si sprigionano dalle ultime liriche dove compare una mutazione della visuale.
La figlia diventata madre, mentre sigilla un patto di amore eterno e reciproca alleanza con la propria bimba, è consapevole che i momenti felici dovranno essere ben impressi nella memoria, perché la velocità dei giorni li trasformerà in nostalgici ricordi.
“Di questo sorso d’infinito
già mi coglie nostalgia.”
Le ultime due poesie, dedicate a Giorgio Caproni e che si allontanano dal nucleo tematico fino ad allora trattato, ci introducono in una atmosfera distesa, priva di ombre e dubbi.
In “Crasi” i versi sono improntati alla esaltazione della bellezza che si rivela a chi come uno scricciolo non rinunzia a volare per scoprire l’universo.
In “A mio padre” la figura paterna affiora dai ricordi d’infanzia. Fotogrammi di vita familiare attraverso un linguaggio pacato parlano di un affetto vissuto senza contrasti e turbamenti.
La poesia di Rossana Bacchella non è solo godimento estetico.
La delicata bellezza dei versi non resta chiusa in sé stessa e l’acutezza del pensiero senza alcuna ostentazione diventa involontaria proposta di riflessione.
La poetessa si avvale di forme espressive che nella purezza del linguaggio armonizzano sentimento e ragione, testimoniando che la tradizione lirica non si è esaurita ma solo rinnovata.
Il tema dell’amore materno, frequentato dalla tradizione letteraria, è riproposto con una novità e modernità di accenti che tralasciano stereotipi e retorica e, attraverso una trama singolare di simboli e analogie, mettono a nudo la complessità di un rapporto.
Si è di fronte a una poesia dal tono elevato che non fa nessuna concessione al linguaggio prosaico e dissolve gli elementi narrativi in suggestive rappresentazioni.
Lo stile di scrittura raffinato ed elegante deriva da un talento innato, sostenuto dall’esercizio e dalla competenza letteraria.
“Nella carne e nel sangue rugge una madre” di Rossana Oriele Bacchella ci regala una Poesia che per il suo carattere è riconoscibile, lascia il segno e non si fa dimenticare.