G. Lucini su Frisa
![]() Ritorno alla spiaggia
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autori: | Lucetta Frisa |
formato: | Libro |
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Gianmario Lucini, Nota di lettura a Ritorno alla spiaggia,
“Poiein”, 12/3/2010)
Un’idrografia dell’anima, un’epifania dell’archetipo materno: dopo Se fossimo immortali, uscito per le edizioni Joker nel 2006, (con postfazione di Mauro Ferrari) è questo il “ritorno alla spiaggia” di Lucetta Frisa, libro polifonico di domande che sembrano agglomerarsi in alcuni componimenti in particolare, spesso tendenti alla forma poematica. Un libro fatto di vento e di mare, dai quali sembra trarre la vocazione alla fluidità, all’immensamente inafferrabile: ”Versi fatti dal mare/ metrica ininterrotta/ fluida/ stupita/ lasciata andare / dal largo a riva/ e dalla riva al largo”. Un libro che, come il mare, ha la profondità degli abissi e la levità del “capriccio che ci ha afferrati”. Tale dimensione ancipite nasce dalla radice visionaria, declinata tuttavia in un dinamismo che ne garantisce l’effetto aereo. “Sento in me molte voci./ Un brusio allacciato al vuoto./ Siamo in tanti a pregare e a piangere./ Basta fermare il respiro all’orecchio”.
Lucetta Frisa sembra così dirci, con Lacan, che noi siamo gli altri: ma in Frisa accade qualcosa di ancora diverso, qualcosa che caratterizza in particolare questo suo libro: le voci si agglutinano nel silenzio della madre scomparsa e da lei tornano a diramarsi nella scrittura. Poiché, come scrive Alberto Cappi, “corpo dell’essere è il silenzio, sua epifania la voce”, questi rumori sono filtrati dal ricordo e giungono alla coscienza dell’autrice ormai eterei, senza più alcuna zavorra esistenziale a gravarli. La poesia “frattura il quotidiano in polvere”, dà “lezioni d’assoluto”, insegna la gioia come la madre insegnava l’arte paziente dell’uncinetto.
Se fin dall’inizio il libro è una parafrasi dell’omofonia franco-spagnola mare/madre, vista dall’autrice come simbolica e quasi sinonimica, nel procedere della lettura l’analogia si arricchisce di un terzo prezioso elemento: l’identificazione fra madre e scrittura. Ad altri contrasti, ad altri dilemmi nella poesia di Frisa eravamo già avvezzi: primo fra tutti la capacità quasi miracolosa di risolvere la morte in fiaba, mantenendo intatti e fluttuanti i due estremi. Si può dire che, in ogni fase della sua elaborazione, la poesia di Lucetta Frisa sia una sorta di anti-tragedia moderna. Ma in nessuna opera precedente questa operazione riesce ad esprimere il senso tragico della vita attraverso un codice approfondito e determinato; un codice che, come ha ben rilevato Gabriela Fantato nell’introduzione, si rivela essere quello della soglia. In Ritorno alla spiaggia vita e morte, avvio e commiato, leggerezza e destino non sono momenti antitetici: essi ci accompagnano senza sosta insieme, come ingredienti a sorpresa di una ricetta che non conosceremo mai del tutto, che possiamo soltanto provare a costruire per tentativi. Le voci servono ad accompagnare queste presenze in ogni momento, a costante rischio di scomparsa: proprio perché dal silenzio si staccano e prendono forma, in una zona liminare di senso in cui consiste il primo, elementare impulso alla poesia.