L. Frisa su Poesia 2.0
![]() Ritorno alla spiaggia
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autori: | Lucetta Frisa |
formato: | Libro |
prezzo: | |
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Presentazione pubblicata sul blog POESIA 2.0
…] Il luogo del titolo, cui vuole ritornare l’autrice, quindi, è da intendesi come una sorta di “patria” (interiore, originaria e ancestrale) e questo spiega perché Ritorno dalla spiaggia è il libro del nostos: un libro attraversato dalla lingua stessa da un duplice movimento, poiché c’è desiderio e insieme dolore…nel ritorno a casa come direbbero i Greci, per cui i versi sono ora lirici, ora più narrativi, a volte aforismatici quasi, altre realistici e quotidiani. Certamente nei versi di Frisa non c’è il tragico,né l’avventura, nel senso delle grandi imprese che hanno segnato i nostoi classici, bensì un percorso nel tempo attraverso le tappe di un dialogo pressante e insieme pacato con il tempo stesso, fatto attraverso luoghi e persone amate […] Ritorno alla spiaggia ci regala, dunque, una poesia che s’immerge nel tempo, ma senza farsi mai mero diario del vissuto, né elegiaca rammemorazione dell’infanzia e di ciò che si è perduto, ma ricerca del senso del vivere dentro e attraverso la parola poetica stessa. L’approdo del nostos è trovato nei testi di questo libro, testi che accolgono la fragilità della vita e insieme dicono l’ansia d’infinito che eccede ogni esistenza. In Porta Rosa, l’ultima poesia della raccolta, si torna a un luogo simbolico e ancestrale: la grande porta cittadina dell’antica Elea (ora zona archeologica di Velia Antica), dove ci fu la scuola eleatica e insegnarono Parmenide e Zenone che è testimone di un sapere della sogliae, ascoltando le parole della poetessa stessa, intuiamo che il passato, lo scorrere del tempo, la sua fame che tutto annulla, si fronteggiano, si fondono e si superano solo in una lingua che sa la polvere da cui viene e sa la luce a cui tende. Solo nella lingua della poesia.
(Gabriela Fantato, Prefazione a Ritorno alla spiaggia, La Vita Felice, 2008)
“sfoglio distratta il libro dei salmi/ ascolto la loro ninnananna/ per frenare l’angoscia/ e ogni misteriosa agitazione”. Ninnananna: è una delle designazioni possibili di questi testi di Lucetta Frisa. È una definizione riduttiva o svalutativa? Assolutamente no. Per tre motivi.
- Ninnananna come ode, fiaba, romanzo, poema epico, ecc. identifica un genere, non la qualità di un testo.
- La ninnananna non è un genere meschino o marginale perché riguardi mamme e bimbi. Ci sono ninnenanne che sono meritoriamente considerate capolavori come il Wigenlied di Brahms.
- Questi testi di Frisa non sono solo ninnenanne, per il loro stile formulare, la musica incantatoria che li pervade, ma sono anche trenodie, planh, invocazione/evocazione, progressione (nella vecchiaia)/regressione (nell’infanzia), racconto, elaborazione del lutto per la morte della madre, colloquio onirico, metamorfosi…
Come osserva Gabriela Fantato nella Prefazione: “La spiaggia a cui allude il titolo del libro di Lucetta Frisa non è certo un luogo reale, una precisa spiaggia cui tornare, ma luogo ancestrale dell’immaginario che richiama alcuni spazi simbolici: è il confine, la soglia tra terra e mare – dove il mare è Acqua dell’origine, uno degli Elementi Primi del mondo per gli antichi – ma è anche la casa, da intendersi non come ‘il nido pascoliano’ di riparo e fuga dal mondo, ma come universo iniziale, dove ci fu ‘la prima volta’, dove si sono strutturati il sentire e vedere del mondo”.
È un poema dei quattro elementi, terra acqua aria fuoco, polvere mare venti fuoco piccolo, rena casa respiro vuoto ustorio. Nella simbiosi madre/figlia, aldiqua/aldilà, scrivere vuol dire registrare la polvere che cade sulla superficie dei mobili e delle parole, sulla pelle della casa e dei ricordi, ma vuol dire anche spolverare, rilanciare il gesto di togliere la polvere, ripulire le cose e le parole, ri-nascere, ri-vivere: ”Forse spolverare è un atto duplice come quando si nasce/ e si comincia subito a svegliarsi o a dormire/ secondo i punti di vista./ Anche la gatta lecca i suoi gattini appena nati”.
Bastano le esperienze più semplici, più comuni, più quotidiane, a provocare il tuffo nell’oltre, nelle prefigurazioni post-mortem o nelle reminiscenze pre-natali: “Sono distesa a riva appena nata/ o appena prima di una bella morte/ su sfondo azzurro”.
I versi si snodano come un nastro di seta girato e fatto vibrare nell’aria, con volute ora ampie ora strette, al ritmo di una continua danza in cui si alternano e si fondono riflessioni, ricordi, premonizioni, annotazioni molto ravvicinate e realistiche del sentire del corpo. L’immenso è provocato dal minuscolo, come il dito di Adamo sfiorato da quello di Dio sulle volte della Cappella Sistina: “L’alluce proprio sul filo della schiuma/ tocca il regno del mare, l’infinito è/ proprio in quel punto d’alluce/ che rabbrividisce si ritira indugia/ entra”. Così l’elementare, fisiologico brivido di freddo penetra e si fissa in estasi palpitante, si trasforma nel brivido dell’infinito. In poco tempo, anche in un istante, ci si può smarrire come in un labirinto. È sulla spiaggia, in uno dei luoghi della luce par excellence, che si può precipitare in sé, piombare nel buio assoluto, semplicemente chiudendo gli occhi: “Chiudo le palpebre per entrare/ in me improvvisamente notturna/ non domandarmi dove sto andando/ sono luoghi di troppo buio”. Con poco, si può anche essere felici, per esempio con una nuotata andata/ritorno dalla boa. L’esperienza di chi giace sdraiato sulla spiaggia, non pensa a nulla, si può trasmutare in estasi polisensoriale, pulviscolare, imbevuta e oltrepassata dai suoni più disparati, come una spugna dall’acqua del mare. Come il testo stesso dice di sé, siamo immersi e cullati, trasportati da e attraverso: “Versi fatti dal mare/ metrica ininterrotta/ fluida/ stupita/ lasciata andare/ dal largo a riva/ e dalla riva al largo”.