La tesa fune rossa dell'amore - Recensione di Antonella Bontae
![]() La tesa fune rossa dell'amore
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autori: | |
formato: | Libro |
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LEGGERE DONNA, rivista di Luciana Tufani editrice, Ferrara
A.A.V.V., La tesa fune rossa dell’amore. Madri e figlie nella poesia femminile contemporanea di lingua inglese, a cura di Loredana Magazzeni, Brenda Porster, Fiorenza Mormile, Anna Maria Robustelli, Saggi introduttivi di Silvia Vegetti Finzi e Anna Salvo, Milano, La Vita Felice, 2015, pp. 268, euro 18.
L’antologia, che consta di tre parti suddivise in nove sezioni, costituisce un laboratorio attraverso cui le quattro curatrici invitano la lettrice - e si spera l’ipotetico lettore - a partecipare all’opera collettiva, nella quale s’intravvede il femminismo storico, capace di trasformare lo sguardo sul mondo: una raccolta di sessanta testi poetici di autrici di lingua inglese prevalentemente dell’ultimo trentennio-quarantennio.
Poete nate in paesi vicini o lontani, di età diverse e personalità spiccatamente multiformi accomunate dalla relazione d’amore tra madre e figlia, quale elemento fondante della vita di ciascuna donna; emersa con gli Women’s Studies e trascurata dalla psicoanalisi, rimane, infatti, per Adrienne Rich una “grande storia non scritta”, che è indagata con una sensazione di spaesamento o di gioia dalle scrittrici, le quali individuano nel corpo materno un corpo altro, soggetto a tutto fuoco, eppure attraversato da un’ambivalenza irriducibile, in quanto spazia dall’amore all’odio.
Il primo capitolo - La tesa fune dell’amore -, che riprende un verso della gallese Gillian Clarke, verte sull’equilibrio tra fusionalità e separazione: la statunitense Marge Piercy - conoscendo il destino di cura e di casalinghitudine della generazione passata - valuta il corpo della madre e ben canta “faticava tutto il tempo”, mentre la compianta Sylvia Plath ci angoscia con una Medusa rivisitata.
La seconda parte - Nelle stanze della memoria - ripete un verso di Piercy e nella prima sezione - Ritratti - introduce la rinegoziazione del rapporto, mentre nella seconda - Fantasmi e proiezioni -,doveprevale l’aspetto onirico, la lirica Il fantasma di mia madre mi conforta dell’irlandese Paula Meehan resta nel solco della visione accudiente materna.
Nella terza sezione - Assenze - s’impone la diversa lontananza delle madri ed è riservato un posto ad una Figlia non nata dall’irlandese Mary Dorcey; poi, nella quarta - Confessioni - si tratta di ammissione di colpe materne e pure di morte, come scrive la poeta Meehan.
Nel terzo capitolo - Retaggi, lignaggi - sono declinati aspetti diversi della relazione di dipendenza e influenza: in quello affettivo degli oggetti quotidiani e simbolici della sezione Oggetti, vestiario l’indiana Amijum Hasan riesce ad immaginarsi “negli abiti di mia madre”.
La seconda sezione - Violenza -, invece, espone casi emblematici di aggressività materna, come la complicità in occasione della brutale pratica di escissione della clitoride e l’accondiscendenza all’aborto selettivo di genere; non a caso è introdotto il poema Voce della figlia non voluta di un’altra poeta indiana, Sujata Bhatt.
L’ultima sezione - La lingua madre - esplora, appunto, la lingua e i multiformi idiomi: in essa si notano quella dell’inglese Carol Ann Duffy, in cui la parlata materna offre consolazione, di Audre Lorde, di origine caraibica, che invoca un principio divino nel contempo maschile e femminile, e dell’americana Maxine Kumin, nella quale la parola si amplifica semanticamente.
Infine, oltre ai due validi saggi introduttivi, segnalo la scelta dell’uso del carattere minuscolo nelle note da parte delle curatrici, a significare una scelta diversa e altra di comunicare, come l’utilizzo della casa editrice di carta solo in minima parte in pura cellulosa: a voi tutte, dunque, la lettura di un’appassionante e vivificante antologia poetica!
Antonella Bontae