Lino Angiuli per «Pietre d'inciampo» di Ennio Cavalli
![]() Pietre d'inciampo
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autori: | Ennio Cavalli |
formato: | Libro |
prezzo: | |
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Poesia e civiltà, discutiamone.
Per sua e nostra fortuna, la poesia, se vuole, può essere “lirica”, “metafisica”, “neo-orfica”, “realistica”, “ermetica”, “crepuscolare”, “satirica”, “ludica”, “epica” etc. etc. E, vivaddio, può essere anche “civile”, come ci ricordano alcuni testi e alcune operazioni editoriali di cui si vuol dire in questa nota per segnalare il bisogno di uscire dal predominio di un’idea di poesia segnata da un monolinguismo lirico capace di adottare diverse mises rimanendo sostanzialmente vincolato a forme e formule piuttosto ripetitive, autoreferenziali, autoriproduttive per partenogenesi.
Ricordate I novissimi: poesie per gli anni ’60, l’antologia curata da Alfredo Giuliani e voluta da Luciano Anceschi (Rusconi e Paolazzi 1961)? I poeti presentati (Pagliarani, Sanguineti, Balestrini, Porta e lo stesso Giuliani), mentre suonavano la ritirata sia dal tardo-ermetismoo che dalle ambizioni neorealistiche, contemporaneamente suonavano la carica per la battaglia neo-avanguardistica o sperimentale che dir si voglia, inaugurata dal Gruppo 63.
Ritratti poetici di figure esemplari
A cura di Giuseppe Langella
La Scuola di Pitagora Editrice, 2024
Prezzo: euro 13,30
Qualcosa del genere aveva voluto farla in Puglia (e quindi “in piccolo” rispetto ai rumores letterari nazionali) «L’esperienza poetica», la rivista fondata e diretta da Vittorio Bodini nel 1954, che, in due anni di vita, si era gettato generosamente nella ricerca di una “terza via” tutta da inventare.
Se vogliamo, anche La parola innamorata: i poeti nuovi, 1976-1978, l’antologia firmata dai giovani Giancarlo Pontiggia ed Enzo Di Mauto (Feltrinelli 1978) è stata una di quelle operazioni destinate a segnare il passaggio da un clima poetico all’altro, così come, mutatis mutandis, lo era stato negli anni Cinquanta l’antologia curata da Dell’Arco e Pasolini sul versante della poesia in dialetto che, da quel momento, sarà chiamata “neodialettale” (Poesia dialettale del Novecento, Guanda 1952).
A me pare che l’antologia ideata e curata da Giuseppe Langella e intitolata, tra gioco di ribaltamento e provocazione, Sfilata d’alti modi: ritratti poetici di figure esemplari (La scuola di Pitagora, 2024) sia nata dall’esigenza di girare pagina e produrre una svolta “civile” a fronte di una pletora di epigonismi che nel migliore dei casi potremmo definire “heideggerismi” (con tutto il rispetto e l’ammirazione per il pensiero del Prof. Martin, faremmo bene a non dimenticare quanto e come il Nostro abbia sostenuto il nazismo). L’illuminante e onesta “Introduzione” firmata dal curatore spiega molto bene le ragioni che hanno ispirato l’operazione antologica, finalizzata a rimettere a centro campo «una sorta di alfabeto dei valori su cui fondare la nostra città dell’uomo». Ogni poeta antologizzato, infatti, dedica il proprio testo a una figura, non necessariamente “famosa” né necessariamente intellettuale, meritevole di stima e memoria. Non una delle solite ammucchiate testuali, quindi, ma una chiamata a raccolta di energie creative interessate alla messa in onda di un “epos” collettivo condiviso con campioni di umanità da inserire in una speciale galleria. Un terzo dei poeti “arruolati” è donna, solo perché quasi tutte le poetesse contemporanee prediligono praticare una poesia più intimistica e meno interessata a/da problematiche per così dire “civili”: un aggettivo da rendere comunque più elastico rispetto alla connotazione tradizionale che lo vuole strettamente imparentato con la nozione ideologica di engagement, come peraltro suggerisce il libro di Gabrio Vitali intitolato Poesia che fa civiltà (Moretti e Vitali 2025).
Nell’orizzonte di tale dilatazione semantica rientra pure l’antologia curata da Massimo Pamio e Adam Vaccaro che sta per vedere la luce in questi giorni e che s’intitola Non nel nostro nome (edizioni Mondo Nuovo). Infatti il sottotitolo Cento poeti italiani in difesa della dignità umana chiama in ballo il concetto, largo e profondo, di “dignità”, da valorizzare e salvaguardare attraverso lo strumento della poesia.
Un centinaio di voci hanno aderito anche all’iniziativa Per Gaza: parole come pietre (titolo ripreso da Carlo Levi) attivata dal blog della rivista «incroci» (“incroci on line”): voci che hanno voluto testimoniare la propria indignazione verso il terribile genocidio in atto nella sfortunata “striscia”.
In questa veloce carrellata editoriale non possiamo trascurare di citare un’altra antologia dal taglio più circoscritto ma ugualmente fondata su valori di solidarietà e sul sostegno a cause umanitarie. Mi riferisco a Poeti da morire: poesie e testimonianze contro la pena di morte, fresca di stampa, curata da Marco Cinque e Vito Davoli con prefazione di Giuseppe Langella (Autopubblicazione Amazon, 2025): un coro di voci non solo italiane (dalla Bolivia alla Cina, da Cuba alla Macedonia, dal Principato di Monaco alla Palestina, da San Salvador alla Serbia,…); una mobilitazione generale intorno a un nucleo tematico che merita ancora e sempre adesioni coscienziali.
Bisogna notare che in tutte le operazioni qui ricordate è facile incontrare non pochi nomi ricorrenti, il che sta a significare che stiamo parlando qui di una tendenza che si va formando e prendendo piede.
Ma non sono solo le antologie ̶ come abbiamo visto ̶ a simboleggiare e documentare la svolta “civile” di cui stiamo scrivendo, perché vi sono anche dei libri o delle raccolte testuali calate nello stesso clima. La pole position del capofila va senz’altro a Pietre di inciampo di Ennio Cavalli (La Vita Felice 2025) che – ricordiamolo – ci ha abituato da tempo all’invettive contro i mala tempora. Questa volta lo ha voluto fare contro la brutta aria che ci sta inquinando il cuore con una serie di derive culturali politiche sociali, quasi incredibili per come vengono propagandate da un mainstream sfacciatamente compromesso con i poteri dominanti. È lo stesso Cavalli autore di due libri intitolati Poesie incivili (Aragno 2010 e 2017) colui che riscrive l’inno d’Italia per purgarlo da brutti e anacronistici passaggi. Quest’ultimo libro mette insieme, tra l’altro, con sorprendente, lavica, a volte bulimica verve inventiva, «J’accuse, Urli, canti di protesta, di denuncia, poesie eretiche, corde senza l’impiccato, fuochi fatui, ballate del disincanto…» e altri “inciampi”. Orbene, il carattere dichiaratamente e ostentatamente “civile” del libro non è dovuto tanto al fatto che vi compaiono Trump Putin Zelenski, insieme a Hitler, Stalin e altri attori del teatro geopolitico cui ci tocca assistere quotidianamente. Né al fatto che vi si proclamino apertis verbis letture storiche ed analisi che possiamo condividere o meno, ma all’ampliamento del vocabolario poetico novecentesco tendenzialmente monolinguistico, per includervi “frigoriferi” “ricetrasmittente”, “sturalavandino”, “casa popolare” … Persino la parola “Ilva” diventa un verso, fra “torri gemelle”, “Silicon Valley”, “Amazon”, “Covid” e altre presenze fattuali violentemente attuali, diventate metafore di sé stesse senza bisogno di simbolismi di maniera con cui giocare a moscacieca con lo sfortunato lettore. Non ci sorprenderemo quindi di incontrare tra i versi la senatrice Segre, Socrate, Masha, Trenitalia, Dio, Vodafone, Libero Grassi, Matteotti, la Duse, Falcone-Borsellino… tra un tupertu con la Cassazione e una lettera a un poliziotto. Per farla breve, e ricordando una nota sentenza di Adorno, dopo questo libro la poesia non potrà essere più la stessa e la coscienza individuale e collettiva avranno non poche difficoltà a ripulirsi per via poetica. Del resto, non dimentichiamo che anche campioni dell’alta poesia come Ungaretti e Montale dovettero fare i conti a modo loro con le tragedie della Storia: la Grande Guerra per il primo e la Primavera hitleriana per il secondo. Ciò che è mutato, in Cavalli, è il “gran dispitto” sputato vis-à-vis, la sfida coraggiosa esibita senza peli sulla lingua, l’amor patrio tradotto in satira pungente, lo scandalo umano fatto diventare “pietra” in cui la poesia è costretta a “inciampare” per poi doversi rialzare irrimediabilmente diversa.
A proposito di satira, possiamo chiudere questa mini-rassegna, emblematica di un cambio di marcia nel modo di “usare” la poesia, con una raccolta di testi recentemente apparsa proprio nell’ambito di “Ytali”. Mi riferisco a Quel che rimane vivo dell’amore di Sergio Manghi, «un diario politico-umorale» come lo definisce l’autore nella premessa. Anche qui incontriamo Donaldo, Vladimiro, Bibi, Papa Francesco, persino la Meloni e la Flottiglia, quali attori di una commedia trascritta in forme chiuse: terzine ed endecasillabi rimati alla dantesca capaci di sprigionare una forza ironica di fronte alla quale le maschere dell’umano teatro non possono far altro che cadere, magari seppellite da una risata! L’autore potrebbe invocare nobili modelli a copertura della sua operazione, ma preferisce calarla in un’aria leggera ludicamente striata, un’aria che in premessa gli ha suggerito il verbo “filastroccare” il cui più lontano maestro potrebbe essere Marziale e il più vicino Rodari.