Loredana Magazzeni per Annamaria Ferramosca
![]() Ciclica
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autori: | Annamaria Ferramosca |
formato: | Libro |
prezzo: | |
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Rivista Le voci della Luna, n.60/1,marzo2015
Annamaria Ferramosca, Ciclica, Edizioni La Vita Felice, Milano, 2014,pp.96
Già dal titolo di questa bella raccolta, Annamaria Ferramosca ci trasporta in una dimensione del femminile che si fa tramite di conoscenza fra ragione scientifica e memoria del corpo, dimensione che percorreva a tratti anche le raccolte poetiche precedenti, e qui si declina in modalità più nette.
Nella prima sezione, Techne, l'autrice si interroga sui complessi rapporti tra cultura e tecnologia, tra una lingua delle radici, una lingua dell'oggi e le sue costruzioni simboliche fondate sull'uso asettico delle tecniche. I lessemi del linguaggio specialistico inframezzano il testo (mi piace, condivido, sei virtuale, copia-incolla, trasporto in files, fine hardisk, tocco random), punzecchiano l'autrice e l'invitano a passare al setaccio della sua esperienza quotidiana una lingua molecolare che attraversi il rapporto lingua-conoscenza, esperienza reale e comunicazione totale, una lingua che permetta di “rileggersi” nel tempo senza mai perdere il senso di sé. Così, eventi come il Natale vengono rifratti dalla luce degli interrogativi dell'oggi: “ogni istante si rompono le acque/ e terre dilavano in diluvio/ (le colombe hanno ali atterrite/ le foglie d'ulivo marcite)” oppure “a chi portare in dono il nostro cesto/ misero di parolemonete/imbrattate di petroliosangue?”.
Nella seconda sezione, Angelezze, sono raccolte, al contrario, poesie esultanti, vere epifanie di incontri con l'altro, sia esso albero, nascita, adozione, neve o pettirosso, persona erratica e girovaga (Erica delle domande, Dialogo con un piccolo albero di limoni sul balcone). Qui il gesto poetico si apre alla dimensione dialogica, leopardiana, di confronto con l'altro e costruzione partecipata di conoscenza, delineando quelle “mappe di salvezza” che permettono di “descrivere la morte” attraverso il presagio di vignarinascita, la ferma felicità, il verso dove.
La sezione successiva, Urti gentili, dedicata in esergo ad Anna Maria Farabbi, ruota sul testo omonimo che appare la chiave di volta del libro, così come quello che lo precede. In entrambi il tema portante è la lingua, una lingua che, per la poeta, non sarà “mai più riproducibile o seriale/ questa lingua (che) vorrebbe solo arti-colare/ bellezza/ tornare alla prima neve/ all'origine sillabica del fiume/ puro occhio”. E, assieme alla lingua, il tema della oralità, del tornare a una voce di poesia che conservi “irrimediabile / i segni del contagio e della cura” verso le cose: “un incurvarsi della voce in gola/ come a piegarla fossero le pietre”. Una lingua e una voce di poesia che vanno e ritornano fra memoria del corpo e futuro dell'antica technè, creando reti comuni di conoscenza: “questo annodarci annodando/ i cesti della fiducia con antiche dita”.
La sezione che chiude il libro, Ciclica, preceduta da due intense poesie sul corpo: “ero bambina già t'interrogavo/scoprendoti i confini quel rosso/ colare misterioso dal ginocchio”, è una sezione che interroga la corporeità dei rapporti amorosi, umani e animali, “lei era/ chiara e febbrile nel cercare/ medicamenti alle tue ferite” e la continuità linguistica e acustica della memoria: “pani...tastiere...reti/immarcescibili (la voce come d'un alba o di un vagito)”. E ancora qui diviene compito accogliente ospitare l'incredulità di chi ci precede nell'approssimarsi alla morte, guardando a lei con una lingua morbida e cava, che si fa pancia, calore affettuoso di soglia.
In questo sperdersi di figlia-fine, Annamaria Ferramosca intreccia un dialogo con uno dei poeti meridionali più amati, Rocco Scotellaro, chiamandolo a testimone di questa metamorfosi della “terrantartide” dove “solo pietà di pietra a trattenere/ per noi un'ultima acqua ultimi semi”.
Interessante, infine, la nota dell'Autrice al lettore, cui consegna queste pagine “come monologhi o dialoghi” che “incontrano un'umanità dolorante di fronte all'assurda ripetizione dell'errore”, con l'augurio che “gli inevitabili urti del vivere e con-vivere possano divenire urti gentili, se accadono nella luce di una comune possibile empatia”.
Loredana Magazzeni