Marina Massenz per l'antologia "La tesa fune rossa dell'amore"
![]() La tesa fune rossa dell'amore
|
|
autori: | |
formato: | Libro |
prezzo: | |
vai alla scheda » |
Marina Massenz per l'antologia "La tesa fune rossa dell'amore"
La tesa fune rossa dell’amore
Antologia poetica - ed. La vita felice
Traduzioni da poesia contemporanea in lingua inglese
“madri e figlie”
Dall’introduzione di Silvia Vegetti Finzi: “…in modo onesto e autentico le poesie parlano di questo rapporto complesso, nei vari aspetti inediti, sia in positivo che in negativo…”. E’ la novità di questa bella antologia: mettere in poesia anche gli aspetti “in ombra” che caratterizzano il rapporto madre/figlia attraverso testi (selezionati dalle curatrici) di ottimo livello.
La prima notazione positiva che voglio esprimere è proprio nei confronti delle curatrici; l’architettura dell’antologia, la raccolta e selezione dei testi, la suddivisione in tre parti (tematiche) a loro volta scandite in nove sezione, i titoli ben scelti e efficaci, l’insieme di questo complesso lavoro rende l’antologia non solo di grande interesse, ma leggibilissima. La sua stessa struttura fa da guida alla lettura e all’interpretazione dei testi. Non meno importante è l’accuratissimo e fine lavoro di traduzione, che sa rendere le poesie nella loro essenza significante.
La postfazione di Anna Salvo ci invita a guardare oltre la celebrazione della madre e/o la contrapposizione rancorosa. Tolta la patina dei “buoni sentimenti” affiorano affetti potenti e ambivalenze di un legame che è nello stesso tempo fortissimo e difficile da sciogliere in modo sereno. In questo libro ci si prova coraggiosamente; attraverso la scelta selettiva di testi di alto profilo si “affonda” in un universo emotivo tutto da sondare, esplorare, e le poesie ci guidano in questo cammino, che è anche di conoscenza di sé. Nella scoperta della propria ambivalenza c’è spazio anche per l’identità della madre, in un gioco di rimandi “a specchio” che a tratti diviene drammatico, ma riesce anche a sciogliersi in dolcezze, complicità, riconoscimento reciproco.
La prima parte tratta dell’equilibrio difficile tra fusionalità e separazione: appunto la “tesa fune rossa” che lega madre e figlia e il cui superamento comporta il sapere lasciar andare.
Le figlie coltivano girasoli giganti
nel buio.
I loro capelli fluttuano verso l’alto
densi come cipressi”
(E.K.Nachtmusik)
Versi che dicono della paura della madre e di come sia “immensa” la distanza che separa il fondersi originario dalla capacità di accogliere la crescita e l’allontanarsi della figlia. Così come l’uscita dalle con-fusioni comporta momenti dolorosi, di panico, nel desiderio di distruggere l’altra (la madre) da cui non ci si riesce a sentire sufficientemente diverse. Fino a “Medusa” di Silvia Plath, che ci parla di una madre grande e terribile, divorante.
Nella seconda sezione siamo già un passo oltre; la distanza creata fra le due protagoniste della relazione fa nascere la capacità di ricordare; emergono memorie di intimità e dolcezza, nasce il rimpianto.
M. Atwood in “Donna che pattina” rivela un ricordo inedito; sua madre che volteggia, sola, in mezzo a cedri e abeti neri. Ricordo prezioso, da mettere accuratamente in un luogo protetto: “Sopra a tutto metto / una campana di vetro”.
A volte nel ricordare emerge il sentimento dell’assenza, come in “Preparare la marmellata senza te” (di M. Kumin) o il radicamento in questo legame (insuperabile per certi aspetti) che prende la via del latte per dirci, ancora, dell’ambivalenza (questa volta materna).
Un certo afrore pericoloso come di cortocircuito
elettrico ….
Potrei mangiarti e mi viene l’acquolina…
(Sally Read)
La sezione terza, “Retaggi, lignaggi”, ci parla di quello che resta, in un certo senso dell’eredità. Ma più che dagli oggetti, dal vestirsi/svestirsi o dal retaggio delle ribellioni infantili, sono stata interessata e coinvolta dalla nascita della parola come parola propria. E’ questa in fondo la chiave che lega e percorre tutta l’antologia: la parola come parola poetica delle autrici qui antologizzate, ma anche la parola della figlia, delle figlie, come ognuna di noi é, nel momento in cui trova, si avvicina o raggiunge la fonte del suo dirsi, del suo esprimersi in autenticità e pienezza.
“La parola”
Arriviamo cavalcando dolcemente…
…il tremito degli scoiattoli rossi ne annuncia la partenza
E la grande cerva, apparsa come un miracolo nel bosco, se ne va. E la donna, figlia, la chiama, perché ancora la cerva le deve svelare qualcosa, ma ora è alla volpe che parla:
…osservare come educhi
I tuoi cuccioli, come essi si tuffino nella tana
a comando, come riemergano ad un’altra
parola che lei usa, una parola che sto ancora cercando
…finché di nuovo l’autrice si rivolge alla cerva:
…dove la cerva si sdraia, nascosta alla vista:
fammi entrare, svelami la parola.
(Maxine Kumin)
E qui l’antologia si conclude; è da sottolineare la maestria delle curatrici che chiudono il discorso quasi nello stesso modo in cui l’hanno aperto. La tesa fune rossa tiene ben serrato il libro, in una sua compattezza sostanziale, nella quale i discorsi si aprono, si chiudono, si sfrangiano, per poi ritrovarsi in un desiderio di essere dentro la propria parola, la propria identità conquistata in un percorso di amore e distanza.