Mario Buonofiglio per M. Capalbi
![]() Nessuno sa quando il lupo sbrana
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autori: | Maddalena Capalbi |
formato: | Libro |
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IL SEGNALE N. 94
MADDALENA CAPALBI
Nessuno sa quando il lupo sbrana
La Viya Felice , Milano 2011
Molti oggetti e il lupo: il minimalismo quotidiano. La silloge è strutturata come un’opera teatrale in due atti: Nessuno sa quando il lupo sbrana e Così i nostri figli; la prima parte rappresenta un interno familiare caratterizzato da un’atmosfera cupa: è un gioco al massacro simile, per alcuni aspetti, a quello messo in atto in Chi ha paura di Virginia Wolf ? da Edward Albee, ma al 100% made in Italy. Non sappiamo se la Capalbi abbia letto o leggerà mai la pièce teatrale, messa in scena in Italia per la prima volta da Franco Zeffirelli nel 1963, ma il confronto fra le due opere può aiutare a capire il livello di originalità del testo italiano.
La prima analogia riguarda il richiamo al lupo, presente in entrambe le opere. Il drammaturgo americano trae il titolo da una frase scarabocchiata in un bar della Decima Strada, canticchiata sull’aria « Chi ha paura del lupo cattivo?» (cfr. la prefazione alla trad. it., Einaudi 19701).
Ma mentre nell’opera teatrale la violenza istintiva e ancestrale si manifesta nel linguaggio e l’azione si svolge in un salotto borghese, gli episodi di squallida vita quotidiana descritti dalla Capalbi maturano in un appartamento di una (qualsiasi) periferia anonima e degradata delle nostre città, simili a «…foreste pietrificate/ dove i ragazzi/…/ tracciano il territorio/ divorati da un’unica solitudine» (Periferie, p. 61) e dove abita anche il lupo (probabile allusione psicanalitica?).
La violenza, più che nelle parole come in Albee, in Nessuno sa quando il lupo sbrana si esprime attraverso il disordine degli oggetti che circonda i personaggi, soprattutto il padre dell’io femminile narrante che «…in canottiera/ ora si aggira nella stanza/ con la sigaretta in bocca» (in La canottiera, p.13 ) e la madre che stira gli indumenti del marito e parla a vuoto « attenta a non lasciare/pieghe sulla camicia» .
La vita (di ognuno di noi) dipende dagli oggetti; e il disordine degli oggetti che ci circondano indica forse la presenza del lupo: per questo cerchiamo quotidianamente di fare ordine. Per nascondere a noi e agli altri che il lupo è passato. E, infatti, nessuna cosa sembra essere al suo posto in quell’appartamento: il cappellino rosa, la canottiera e la sigaretta, le camicie i piatti da lavare, i santini di Gesù, il vestito sgualcito, la liquirizia, la credenza bianca, il letto disfatto, le chiavi della macchina, lo specchio (che potrebbe riflettere il lupo), il muro ecc. Fare ordine (come mettere ordine le parole in psicanalisi) vuol dire individuare il lupo. Quest’impossibilità di ordinare le parole-cose crea nella protagonista un senso di nausea esistenziale.
La seconda parte Così i nostri figli è un tentativo di fuga da quell’appartamento . Un uscire all’aperto per incontrare gli altri (in piazza, al bar, ai giardini), i cui « …corpi si allungano/ per essere accolti/ dalla città capovolta» .
Questa visione ravvicinata sugli oggetti, questo illuminare le cose che ci circondano è, forse, il maggior pregio del libro; insieme alla figura magistrale del lupo, la cui presenza-assenza crea un senso di disagio e di attesa.
Mario Buonofiglio