Narda Fattori per Annamaria Ferramosca
![]() Ciclica
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autori: | Annamaria Ferramosca |
formato: | Libro |
prezzo: | |
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La poesia è un atto comunicativo orientato sul fronte personale (proviene da un io profondo, prorompente o a fatica sondabile che il pensiero adatta allo scopo) e si tende al lettore per la condivisione di un intimo colloquio. Nella poesia dunque la comunicazione è un atto non decorativo, è all’origine del suo stesso esistere, coglie le ombre laddove tutto sembrava chiaro e viceversa. Il titolo di questa opera di Annamaria Ferramosca, “Ciclica” dà ragione del percorso che essa compie, percorso impedito dalla realtà e dalle circostanze a sollevarsi, a farsi elicoidale, al quale non resta che chiudersi nella ciclicità.
La poetessa si pone, soprattutto nella prima sezione, le domande che si sono posti tutti i poeti, a partire dai lirici greci; domande che, da quando l’uomo ha coscienza di sé, continua a porsi, sotto diverse e divergenti deviazioni e traiettorie: chi, cosa e perché e, naturalmente, ha scavato e scava a fondo dentro quel sentimento che potremmo definire originario: l’amore. E’ il mondo (più modestamente l’esistere che si declina in essere) che non può e non vuole farsi da parte e insiste a porci gli stessi quesiti. Nella nostra evoluzione abbiamo anche provato a fornire risposte esaustive, attraverso la religione soprattutto; filosofia, fisica e metafisica si sono rivelate dubbiose, contraddittorie e balbettanti.
Il poeta è un ascoltatore attento e un visionario; le parole sono strumento e sostanza, i suoni, le voci, sono la realtà a cui partecipiamo, ma sempre più usurate, tanto che risulta necessario rifondarle, ricrearle, ornarle con metafore vive e vibranti, molto più vibranti dei correlati oggettivi. Non ho fatto riferimento al tempo, che anche in “Ciclica” scorre sottotraccia, compie lunghissimi balzi e/o avanza a passettini. Il tempo è la dimensione nella quale accadono gli eventi, personali e intimi, storici e non meno vicini perché sempre portatori di verità. Questo nostro tempo, avido e mercantile, ci costringe a restare in territori nebbiosi, a procedere a tentoni, fino a chiederci: “ per chi ancora resistere, durare ancora / di dura fine / fine hard disk.”
Dunque al tempo abbiamo permesso di manipolarci fino a trasformarci in ferraglia che diligentemente e stupidamente raccoglie le creature mondane, le miscela, svende in lucenti apparenze e poco gli importa delle identità, quasi fossero d’intralcio alla sua voracità “ di più ti amo / quando sul monitor mi lanci / inutile dire chi scrive vede di più / ha solo più dubbi.”
Annamaria parte da lontano, da una ricerca trascendente per giungere a dare una definizione della poesia calibratissima; da sempre sappiamo che la poesia non è un farmaco, ma abbiamo sperato un po’ tutti che allargasse la visione e non ci consentisse di confondere ulteriormente le acque, ci permettesse di moltiplicare i fili e di estenuare i percorsi. Infatti la conclusione di questa prima sezione rivela la capacità dell’autrice a cogliere le contraddizioni dell’esistenza e la sua impotenza a sanarle col suo sguardo fermo e pensiero saldo; il suo disorientamento è simile al nostro quando ci coglie l’ombra mentre ammiriamo il bello.
La seconda sezione porta per titolo “ANGELEZZE”, un neologismo adeguato, che ci trasporta in un mondo utopico di gentilezze, un vagheggiamento di comportamenti accoglienti, il solo modo per leggere le mappe della salvezza. Già la prima poesia si chiude con un proposito che si estende a chi vorrà farlo suo: “ devo/ far correre quest’idea sulla tua fronte / devo / e tu su altra fronte ancora / e ancora prima / che precipiti il sole”
La Ferramosca pronuncia in questa silloge un j’accuse chiaro sul sangue che gronda per avidità sulla terra e non riesce a concimarla: sarebbe così trascurabile il prezzo della pace. Ma il chiodo che si insinua è sempre lo stesso: dove sarà il verso dove?
Il verso dove forse è nelle due poesie che seguono, dedicate ai bambini, al parto, quando la madre si estingue e si fa immensa per donare la vita. E pure le poesie che seguono grondano di bellezza, della pienezza del poco, sono cornucopie di piccoli ardori, di gentilezze, sono quelle che fanno degna la vita.
Le poesie che seguono si occupano della lingua o, meglio, della parola che i tempi hanno corroso, contagiato con le malattie dell’avidità; un poeta non può non occuparsi del suo strumento di lavoro specie quando sente che stride, che non ha più forze e che rimbalza sui marciapiedi, negli ipermercati e si smarrisce; Annamaria vorrebbe curare la parola, estrarla dai miasmi, riportarla alla luce vergine e innocente, farla ritornare semplice e umile come un cesto di vimini. Nelle poesie di questa sezione si avverte che la lingua ha sollevato l’umanità e la poetessa ama la gente, ama la conquista delle vibratili sillabe, la comunità che sanno creare.
Tuttavia oggi ci ritroviamo alle origini, ai balbettii e alle primigenie domande, così il libro si conclude con una domanda che non si nasconde: “ ci sarà un punto segreto su cui far leva / dove affondano le radici / si assestano le fondamenta / termine di terra cielo confine limpido / dove culmina la vertigine ammicca il demone / da cui spiccare il volo / nella chiarità o nell’abisso?”
Lungo questo percorso speculativo Annamaria ha toccato eventi personali e figure cosmogoniche, quindi ha piegato la lingua e le parole a nuovi significati.
Il libro, di godibilissima lettura, ricco di chiare visioni, di nuovi semantemi, di riflessioni compiute sulla sua esperita verità con lo sguardo che coglie e rivela dietro le miserie lo splendore residuale, resta fra le opere più stimolanti nella produzione di questo nuovo millennio.
Narda Fattori
Ciclica La Vita Felice, 2014, collana Le Voci Italiane