Novità poesia: Salvatore Martino - La metamorfosi del buio
![]() La metamorfosi del buio
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autori: | Salvatore Martino |
formato: | Libro |
prezzo: | |
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Del volume si parlerà con l'autore a Roma, domenica 9 dicembre - ore 11,00 - Sala Turchese nell'ambito della Fiera dell'editoria PiùLibriPiùLiberi - Palazzo dei Congressi EUR (vedi locandina invito) nell'evento SALVATORE MARTINO: POETA NELLA VITA
Di Salvatore Martino bisogna che i critici parlino con baccano come i Coribanti sul monte Ida: basta con i torbidi moventi che non distinguono la buccia dal frutto, qui si è in presenza di arte grande e di poesia vera, capace di sommuovere la banda smorta dei compilatori di gazzette letterarie.
L’intera sua cinquantennale carriera di magister verbi è contraddistinta da una forsennata ricerca di senso, da un’adamantina capacità espressiva, da una fervida cultura storica in senso prettamente etico e spirituale. La sua scrittura consiste in una netta progressione rispetto al decadimento imperante, ponendosi come fase evolutiva che recupera le ragioni di un’epica del quotidiano, inverata in una passione scenica per le composizioni, così distanti dall’imparaticcio, dalle poesiole preconfezionate, dagli orpelli meramente verbali degli orfani dell’avanguardia.
Il Nostro giunge settuagenario a quest’ultimo volume, leggibile e vivo, dionisiaco quel tanto e meditativo fino all’osso: una brezza ristoratrice nel nostro desolato deserto, tracimante verso l’afasia. Qui il verso appare davvero quale struttura mentale e cadenza dell’esistere, filtrato attraverso una serenità che commuove e una capacità di toccare e chiudere le nostre ferite profonde.[...]
La metamorfosi del buio è un labirinto univiario (unicursale), un tracciato districabile di testi che rinviano a un centro, a un nascosto gheriglio di significati, di fronte al quale chi crede di essere ormai giunto alla fine del cammino, si trova catapultato in un nuovo inizio.[...] scava l’inferno interiore, la più remota origine dell’essere, l’atra abissalità, con il ritmo insistente dei suoi versi, con il pieno della sua ruvida musicalità, con la sua abilità di saper tessere insieme saperi diversi (il mito e la postmodernità), codici differenti (gergo scientifico e letterarietà), secondo una visione plurima e borgesianamente unitaria dell’enciclopedia fattuale e cosale.[...] Da buon marinaio di terra dolce, Salvatore Martino getta le sue àncore nell’eternità, avendo sperimentato nella voluttà dei corpi tutte le modalità del vero, avendo trafitto il tempo da parte a parte, un attimo prima che tutto sparisca nella torbiera dell’antimateria.[...] Si noti con quanta sagacia Salvatore Martino curi l’architettura dei suoi scritti che risulta magra, altissima, vestita di nero, tirata all’indietro verso le regioni color antracite dell’inconscio; in sostanza un edificio maieutico, ironico e sdegnoso, eterodosso, con al centro un pozzo artesiano, dal quale la corda filologica strattona e riporta in superficie il continente sommerso del destino individuale e collettivo.[...] La metamorfosi del buio non accompagna solo le ore solenni, annodate con le corde nere del lutto, si dimostra essenziale per le ceneri che ancora bruciano e ustionano, memoria di ciò che si è vissuto e di ciò che disserra (per chi ne possiede il coraggio) le porte del labirinto.
dalla prefazione di Donato di Stasi
Dopo mesi d’insperato silenzio
è tornata a inquietarmi
la poesia
con le sue beghe e le ambiguità
le sue maledizioni
la consueta tirannia della parola
la sua equivoca trascendenza
Credevo di averla confinata
in una stanza priva di finestre
senza il sospetto
di una impossibile sortita
Invece è ancora qui
a colmare di sangue
la nostra liturgica ferita
Nel mio locus amoenus interrogando
II
Sdraiato sull’amàca
tra le due grandi querce
che a settentrione vegliano la casa
il calore del mio cane sul ventre
e il fischio lontanissimo
del treno della Nord
il telefono a portata di mano
un richiamo una voce che interrompe
questa solitudine voluta
Chissà perché mi viene in mente Aiace
in quell’ultima alba sopra il mare
e spera d’incontrare un uomo
e parlare con lui almeno un po’
prima di gettarsi sulla spada amica
e mi sorprende
il coraggio virile di affrontarla
quest’unica vita che ci è data
III
Immersi nel giallo
sotto un cielo velato col suo sole
un primo pomeriggio
che il terrore ci appare
un’immagine lontana
quasi appartenesse ad altri
la scalata dell’ansia che c’insegue
perché crollate le difese
i dèmoni sotterrano
la lira del Cantore
che non trafigge quel buio
dall’assurda miniera delle anime
non mi trascina il corpo nella luce
Ipotesi scritta sulla sabbia
Sorprendimi in questo viaggio
dove entrambi ci siamo rintanati
complici del paradosso
che ci trasfigura
seduti fianco a fianco
sopra questa carretta che procede
lungo un sentiero
più volte attraversato
e adesso si dilata
e intravede l’arrivo
e i cavalli obbediscono
alla mano leggera dell’auriga
− non sei tu
non sono io −
ma un altro li comanda
sicuro come un dio
quello del lungo viaggio
quello dolce e spietato e solitario
Per una metamorfosi annunciata
Questo dolore fatiscente
nell’incastro dell’anima
se il tumore ha stroncato la faringe
e avvolge il sangue tutti gli organi
in un tripudio di vendette
e un lago si spande nel cervello
una bianca marea
quasi un budello
che non sa di scoppiare
Come tramandare la notizia?
Se il destinatario è morto nel frattempo
o forse ha cambiato l’indirizzo
e in quella strada non abita nessuno
e ha cancellato il telefono
il nome sulla porta non sai se per errore
o volontà ostinata di sparire
Non ci sarà una soglia
oltre questi rottami
una barra di ferro
che non si piega al fuoco
Nel più assetato smarrimento
forse ti sarà concesso di abbracciare
tutta la spietata libertà
La serena stagione del ricordo
Chissà se resta ancora nella stanza
la bottiglia di whisky esaurita
sul tavolo o lungo il pavimento
il rifugio nel letto
le sigarette bruciate fino al filtro
quel nostro ripetere che
la semana tiene más de siete dias
se non possiamo ritrovare
le labbra confuse dentro il corpo
il bacino che ondeggia sul bacino
i liquidi spalmati sopra il petto
la corona del sesso
come un giglio che s’apre sulla roccia
il sonno appagato della fine
Stasera senza più rimpianto
la testa conficcata nella mano
e gli occhi che perforano
quelle immagini lontane
appaiono quei giorni alla mia anima
impossibili di fondersi all’oblio
Notizia sull'autore Salvatore Martino