Novità poesia: Silvia Albertazzi - Magenta è il colore dei ricordi
![]() Magenta è il colore dei ricordi
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autori: | Silvia Albertazzi |
formato: | Libro |
prezzo: | |
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Silvia Albertazzi ha deciso di chiamare magenta il colore dei ricordi, e magenta, una mescolanza di luce tra il calore solare e il blu del cielo, ma anche del blues, è il contrassegno di questa raccolta di poesie [...] una felice scelta ottico-affettiva e intellettuale per narrare la necessità del ricordo [...] memoria di una vita, di vite che hanno costruito, pervaso e condiviso la sua, memorie di altri poeti, di musiche e di parole in musica, pitture e quadri che vivono palpitanti nel suo spettro emotivo e intellettuale, strade e case, oggetti che si fanno ancore del ricordo e del vivere. [...] Non si tratta solo di poesia della memoria, o di quadri autobiografici, lo sforzo della scrittrice è quello di consegnare al lettore non solo la sua esperienza, ma di comunicare il suo vissuto perché possiamo anche noi ritrovare dall’assenza il desiderio di intrecciare sovrapposizioni di senso.
Il desiderio in queste poesie è una trama interna, dissimulata: e se il desiderio nella sua essenza è desiderio di ri-conoscimento, di ri-conoscere, un rapporto tra il sé e l’alterità, possiamo leggere questi componimenti anche come desiderio di riconoscere se stessa attraverso il legame con le proprie radici, con le genealogie femminili, familiari, con la propria comunità amicale e affettiva nel periodo della maturità.
L’eleganza dei versi, delle parole, l’improvviso irrompere di termini del quotidiano, l’oscillazione tra la tristezza del ricordare e l’ironica consapevolezza di quel ricordare, ci consegnano una sottile (...) ma sempre mediata, riflessione sulla nostra solitudine e sulla necessità di condivisione.
dalla prefazione di Rita Monticelli
Magenta è il colore dei ricordi
Magenta è il colore dei ricordi
come nelle foto di via Azzurra
che guardo stasera
per farmi del male.
Niente neve neanche quest’anno.
Non sarà bianco il nostro Natale.
Dimmi dov’è la strada
che porta alla fine del giorno.
Ho le mani piene di nebbia,
pieni di fumo, gli occhi.
Ben Shahn ha sostituito
il mio Hockney
sul muro della cantina.
Ci sono tre musicisti
– contrabbasso violino chitarra –
che suonano senza guardarmi.
La cornice è azzurro lucente
– the colour of memory and dreams –.
Azzurro è lo sfondo
azzurre le pieghe
sulle tute dei musicisti.
Four piece orchestra.
Ma qual è il quarto pezzo?
– contrabbasso chitarra violino –
Solo quando inforco gli occhiali
scopro anche l’armonica a bocca
che la sera della vigilia
suona come una ciaramella.
Magenta è il contrabbasso
che ritma il pulsar dei ricordi.
E il violino ha “suono di casa,
suono di culla,
suono del nostro, dolce e passato,
pianger di nulla”.
San Mamolo
Era destino che finissi sotto l’ala
del santo favoloso e inesistente
e i miei confini fossero segnati
oltre le mura della porta che non c’è.
Se tutto è segno mi piace avere un taglio
che si è aperto ai controlli di dogana
imbrattando di rosso la valigia.
Coi tuoi fiori me lo sono procurata:
mi ricorda tanti anni e ancora insieme.
Pregherò il santo immaginario
che mi assista nel volo e tra la neve
ma vorrei restare dove sono
tra le braccia del santo che non c’è.
Cioccolato stomacoso e arancia amara
di Parigi non vedo che la gente
trascinare trolley scuri alla stazione.
Mai mi sono sentita così sola
(non è vero, c’è stato anche di peggio).
Però adesso ho tutte le paure
della notte, del buio e della neve.
Circondata da un oceano di parole
sto annegando nel ghiaccio che mi abbaglia.
Poi col buio riappare la paura,
la sindrome d’Orano m’attanaglia.
E se facile è la musica dei versi
quel che provo è un macigno in mezzo al petto.
Caro Santo, lo so che tornerò
a varcare le mura immaginarie.
Però adesso mi guarda la Pulzella
e mi sfida ad attenderla sul ponte.
Tu sarai forse quello a pugno chiuso
che da sempre mi saluta in Castiglione.
Lei è qui e m’insegue dappertutto,
mi sconvolge con le sue visioni.
Nella neve che inghiotte Charles De Gaulle
io ripenso a un nanetto da giardino
al mio Mammolo con il pugno alzato
e coi piedi in un vaso d’erba scura.
Sono stanca di fughe e di ritorni
di parlare in lingue che non so.
Sono stanca di essere me stessa
e insegnare quello che non ho.
Dalla sezione VOLTI E SUONI
Gianni
E si finisce
sempre
a parlare di Gianni
che la Carla tiene ancora
nell’armadio
a grandezza naturale.
Ci fa bene parlarne
ai nostri incontri
come fosse un amico
mai perduto.
“Gianni chi?”
io chiedo ogni volta
per vedere i vostri volti
E mi piacciono
questi nostri sguardi
queste sere tra noi
in pizzeria
a parlare di Gianni
e anche d’altro
come fossimo ancora
adolescenti
col grembiule nero e la frangetta
pronte come ogni anno
a fine anno
per la foto di gruppo nel cortile.
Non c’è più la litania dei
“ti ricordi?”
Ora siamo a scherzare sulle rughe
sui malanni, sugli uomini e l’età.
Di quel tempo
ci resta il solo Gianni
– quello giovane, che Carla
ha sequestrato.
(Quello vecchio, l’ho visto oggi
sulla Piazza
col berretto calato sopra gli occhi
e la faccia segnata dalla rughe.
Ho cercato di fotografarlo
al volo
ho fissato soltanto
il suo sorriso
che planava sulle teste
e sulle schiene
senza corpo, come il ghigno
di Stregatto).
Dalla sezione C’ERA UNA VOLTA
Così eravamo anche noi
Così eravamo anche noi,
quando avevamo solo una piazza
a cui tornare,
quando il futuro era ancora
domani –
anzi, stasera, o al massimo tra un’ora.
Così eravamo anche noi,
quando urlavamo forte:
qualsiasi cosa, ma non la banca
qualsiasi cosa, ma non l’insegnamento.
Così eravamo anche noi,
quando il nostro era un mondo
di pompieri per spegnere
i bruciori dello stomaco
e di galline per niente intelligenti
(basta guardare come guardano la gente).
Così eravamo anche noi,
in un secolo fuggito via veloce,
in un altro destino ormai trascorso,
in una vecchia foto fuori fuoco.
Così eravamo anche noi,
e ancora siamo nei sogni del mattino,
prima del risveglio faticoso,
del mesto incontro quotidiano
con lo specchio,
poi con la banca
e con l’insegnamento.