P. Mattei su Frisa
![]() Ritorno alla spiaggia
|
|
autori: | Lucetta Frisa |
formato: | Libro |
prezzo: | |
vai alla scheda » |
Piera Mattei, Una Demetra in prendisole bianco,
«Lucreziana», 28/6/2009, poi in «Pagine», anno XIX, 59, agosto-novembre 2009, pp. 43-44)
L’archetipo di sfondo è il mare estivo, con la sua bonaccia, la sua luce, la sua accoglienza in un’atmosfera di sospensione, levità, abbandono al divagare e all’ondeggiare. L’archetipo che introduce la raccolta è la casa. La casa è un archetipo forte: significa la propria personalità, il proprio IO, il centro esistenziale, emotivo, conscio e inconscio. La casa che viene posseduta con titubanza, ancora nella sensazione dell’abbandono, del vuoto causato da una dipartita, quella della madre, che improvvisamente mette in risalto il senso di una presenza prima inconsciamente considerata come ovvia, un po’ come parte dell’inventario della casa. Ora la casa è vuota, la protagonista prende possesso della sua vastità scoprendo una nuova solitudine, scoprendo pensieri che non sapeva di aver pensato ed emozioni che non aveva mai meditato. Una casa percorsa da brezze, da brividi, da aliti d’estate, da voci chiare nel silenzio, da fantasmi buoni.
Lo scenario, il palcoscenico sul quale si svolge la maggior parte di questa rappresentazione poetica dell’Io assorbito nella sua serena e matura rielaborazione del lutto (che però è anche meditazione sulla morte e della morte come parte della vita) è la spiaggia, con la sua apertura, la sua luce. E l’archetipo che riassume in sé la vicenda è ancora il mare, il suo mistero, la sua natura di origine e insieme di luogo di ogni fine, dove il tutto ritorna al tutto e si mescola col tutto pur conservando la sua identità di parte.
Ecco dunque gli elementi di campitura nel quale si muove la poesia di Ritorno alla spiaggia, una toccante (per la sua positività) raccolta di Lucetta Frisa che non esiterei a definire “sapienziale” perché non è soltanto una vicenda che si gioca nel passato presentificato, un ricordo che viene rivisitato, un personaggio (la madre) che non vive più ma che tuttavia si muove nelle liriche come presenza vivissima e si muove fra le righe anche quando non viene espressamente rievocata. Lucetta in questa raccolta tenta il tema centrale, altissimo, del senso della vita in rapporto alla realtà della morte, allestendo con una serie di richiami a vicende simboliche e – come si è detto – con l’uso di archetipi fortissimi nel nostro inconscio, una rappresentazione pacificata del mors et vita duello. Non più morte in contrasto con la vita, non più morte come distacco, frattura, nientificazione, ma morte come vita che vive in altro modo, che sorride in altro modo, che celebra i suoi riti in altro modo.
La tecnica usata è spesso quella del flashback, come si usa nel montaggio filmico: immagini che vengono proposte in sequenza significativa, come elementi di un linguaggio geroglifico. Una tecnica che lascia molta libertà al lettore di richiamare la sua esperienza personale e filtrarla attraverso questi scenari, conducendolo in qualche modo a rivisitare temi suoi, a rivederli sotto questa luce di mare e di spiaggia, fuori dall’oppressione e dalla paura.
Il verso si snoda in una elegia piana e quasi discorsiva, senza la presenza di toni accorati o mesti, senza l’esibizione, il facile cedimento alla maniera della nostalgia o al pianto, senza icone logore di simboli del lutto o della tristezza. Appare invece come un canto sottovoce, una melodia che viene cantata a bocca chiusa, nel silenzio della propria interiorità, nell’ascolto di quel silenzio.
Ecco perché questo libro commuove: proprio perché non si pone l’obiettivo di commuovere ma quello di incarnare la persona che scrive e un “tu” che non può più scrivere, i suoi sentimenti più veri, non esplicitati ma agiti nel racconto, nella rivisitazione delle immagini, nella ricostruzione delle scene; una poesia agita, più che parlata o scritta.
Ma qui siamo solo alle prime poesie del volume. Soltanto alle prime tre. La raccolta poi si volge in altre direzioni, sempre conservando l’orizzonte originario del mare con i suoi luminosi archetipi, addentrandosi in altri percorsi che non hanno a che fare con l’elaborazione del ricordo. Ci vorrebbe molto spazio ancora per poter prendere in considerazione anche la restante parte del lavoro, ma lo fa già molto bene Gabriela Fantato nella sua prefazione, alla quale rimandiamo. È comunque seducente l’accomodamento del verso con l’ambientazione paesaggistica, con i ritmi della risacca, con le voci del mare. Ma non andiamo oltre per non dilungare.
Bella prova dunque, che conferma Lucetta una delle voci chiare e forti della nostra poesia, soprattutto di questa poesia femminile che, io credo, sta proponendo in questi anni nomi di artiste di grande rilievo e soprattutto portatrici di importanti novità nella poetica contemporanea.