(Poesia) Valerio Fabbri - Immagini abitate
![]() Immagini abitate
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autori: | Valerio Fabbri |
formato: | Libro |
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nota critica di Gabriela Fantato
postfazione di Maurizio Cucchi
Quello che compare nei versi di Valerio Fabbri è un mondo in orizzontale, potremmo dire, dove la vita scorre tra marciapiedi sporchi e muri scrostati: tutto avanza lineare e senza senso, teso in una sola direzione, per cui le vite di tutti appaiono “semplici” e come incastrate dentro una routine che sovente si riempie di urla per cose da poco e vane, come se le esistenze fossero incise da una malattia cronica che tutto e tutti colpisce: «Abbiamo fatto rumore con la spazzatura / mentre al piano di sotto i vicini / litigavano sul riscaldamento: / esiste un marchio segreto o degrado, / una specie di fiera, una città cronica / deturpata dai manifesti. E stranieri, / stranieri da queste parti, inchiodati dal futuro». Valerio Fabbri pare volerci dire che a tutti coloro che incontriamo in queste sue «immagini abitate» è assegnato un destino “in perdita”: un vuoto di futuro, per cui nei versi il tempo è afferrato solo nel suo consumarsi in un eterno presente. [...] Quando tutto pare perduto nel suo opaco fluire, il poeta si solleva un po’ dal piano orizzontale, si mette di lato e cerca un «un pezzo di verità» dice, forse cerca solo qualcosa da salvare in poesia, come si legge in questo passaggio: «Tutto è visibile in questo formicolio, / ma invento un posto luminoso / alla mia mancanza di simpatie: / a volte ascolto di straforo, mi vergogno, / mi sembra di trovare un pezzo di verità / sulle bocche semplici di tanti sconosciuti».
dalla prefazione di Gabriela Fantato
Esterni
L’inverno ancora sulla strada e le ombre spettrali
dei pini al tramonto tagliavano l’asfalto e l’auto,
fasciata da un silenzio cremoso, si muoveva
come un alone attorno a una persona magra:
il suono lontano di un clacson,
nella solitudine, divenne pensiero.
*
Forse a quest’ora la gente è seduta
davanti al rosso cupo del Campari
per farsi sgocciolare sui pantaloni
una cartolina di ricordi veloci,
tra i visi raccolti
da salutare con pochissime parole.
*
Vicino a Lecce esiste una villa,
dentro, un mosaico è seminato
sul pavimento come per errore,
petali finti, di pietra, e tessere
buttate dal vento – o per caso –
da una finestra aperta sul cortile.
Un uomo perse la ragione: nell’Ottocento
s’innamorò di una giovane contessa
ungherese che morì troppo giovane.
Sua madre fece costruire il mosaico
splendido,
e chiuse la porta in faccia al tempo.
[…]
Un appartamento semplice
La verità è un appartamento semplice
che ci stringe in una lunga fila, legati
tutti alle nostre cose: le mutande di pizzo
stese ad asciugare, i panni ancora sporchi,
orecchini, saponette e profumi, gli orologi
per far sapere che sei di casa, oggi,
come lo è il tempo, in autunno
sulla spiaggia delle cose morte.
*
Ti ho vista un giorno spazzato dall’inverno
raschiare con l’unghia il muro del vicino,
forse per fargli il malocchio
con un pezzo d’intonaco sciolto nell’acqua.
E tu che ribattevi, per niente turbata:
«Dovresti chiederle ai vivi
le cose che fanno, e annotarle sempre.»
Con poche righe si riempirebbero davvero
innumerevoli vite. E che tenerezza
quella voglia di abbracciarsi
davanti agli orrori del telegiornale.
*
Sul tavolo della cucina stavano le tue cose
silenziose, a comporre un mosaico di senso,
piccole monete, scontrini rotti, rossetto,
il mazzo di chiavi, il pacchetto di sigarette.
Con un gesto sicuro e antico ti soffiavi il naso
e nascondevi il fazzoletto dentro al polsino,
come faceva mia nonna,
e come non ho visto fare
nemmeno a mia madre. Da quel momento,
mi sono sentito sicuro del nostro presente.
*
Ho fatto una cena assurda, ieri:
carne in scatola e formaggio,
poi ho voltato la tavola
per vedere la televisione
con la sigaretta in bocca.
Qualche volta riconoscevo la tua voce amica
chiamare come il disegno riflesso dalla luce
sul muro bianco,
un attimo prima di addormentarmi.
[…]
Nel vuoto della mente
Arriva una donna sagomata nel silenzio
dal suo cappotto vecchio
e dalla curva di un gesto
estrae due forbici luminosamente affilate:
deve tagliare il verde lussuoso di una siepe
che nasconde una foto incollata sul marmo
del ricordo.
Dietro di lei,
un palazzo si conficca nel cielo, assume
i contorni dell’indice sulle labbra
e segna il silenzio ormai totale di quella scena.
*
L’edificio alzava dieci piani
traforato ognuno da finestre,
spuntavano dai fianchi secchi
le mascelle ossute dei balconi.
Dietro alle tende,
nell’impallidire della luce
ancora accesa, emergeva vaga
una figura umana: una verità
che lentamente amava svelarsi.
*