Rinaldo Caddeo per Luigi Cannillo e Galleria del vento
![]() Galleria del vento
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autori: | Luigi Cannillo |
formato: | Libro |
prezzo: | |
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Luigi Cannillo, Galleria del vento, La Vita Felice ed., Milano, 2014, 72 pagg., 12 €
Come osserva Sebastiano Aglieco nella Prefazione, è il tema della perdita ad attraversare tutto il libro di Luigi Cannillo. Il dolore della perdita, in particolare nella prima sezione, L’ordine della madre. Un dolore che non dà in escandescenze o in fremiti, né si dichiara troppo apertamente. La sua intonazione ermetica e la sua cadenza soffocata, sono tenute in sordina, ma diffuse sottotraccia, determinate e destinate al tempo sospeso dell’esilio, dislocate nello spazio del vuoto. Un vuoto senza abissi o vertigini, suggerito dalle assenze del presente ma sobillato dagli spettri della presenza mnestica: la madre, l’ospite, il padre, un rilkiano-montaliano “tu” fantasmatico-ossessivo o il baudelairiano incontro clandestino con uno sguardo sconosciuto.
Al centro della sezione centrale (12 segni) del libro, come nota Aglieco, c’è il tema del doppio (gemelli), dove il tu a cui si rivolge, oltre che alter-ego, è il destinatario di una invocazione-evocazione (“Cercami”, “Fermami”) che traccia un percorso dei contrari che si dividono e si riuniscono, ridefinendosi insieme. Ebbene, il doppio si manifesta, oltre che nell’immagine sul muro (ombra, riflesso), “nel vuoto scavato nell’aria” (pag.33), nel calco del nostro corpo, lasciato, messo e tolto in continuazione, al vuoto, anzi, scavato, seppellito/disseppellito, con tutte le giuste ricadute di senso, di ordine psichico, ma anche morale, politico (la fratellanza) e storico-mitico (Caino e Abele, Romolo e Remo), collegato e fomentato dai successivi chiasmi, figure dell’ossimoro permanente e dell’intreccio simultaneo di repulsione/attrazione, perdita/ritrovamento: “Siamo i lembi separati da sempre/ da sempre ricongiunti”, “incontrandomi ti perdi/ ritrovi il gemello perduto”.
Vuoto stratificato e istantaneo, lievito di un mondo di sommovimenti nascosti che si sorregge sulle linee di forza di nitidi, palpitanti, a volte lampeggianti ma volatili confini, come nelle stampe giapponesi di Hokusai che sul vuoto modulano le forme, gli ossimori e i colori degli elementi della natura, animali, gesti, azioni: dal vuoto nascono, si formulano e giungono al culmine nel punto e nel momento in cui fanno naufragio in esso e in esso sono destinati a dileguarsi. Nebbie, foschie, penombre, tenebre, corridoi bui, acque acherontee, sogni, istituiscono repentini fondali e dissolventi scenari ma tali da conferire una risoluzione particolare alle singole immagini. Forme fluttuanti nella notte, respiri, voci, preghiere, nastri invisibili, stelle cadenti, frecce, barche, eliche, cerchi concentrici, specchi, cappi, rocche, muri, nidi, lacci, piume, orologi, lampi, orme, scie, emersi dai campi elisi della realtà, si imprimono sulla pagina, apparizioni/sparizioni (asparizioni, come le definiva Giorgio Caproni) metafisiche, con una pronuncia colloquiale inconfondibile, dotate di un rilievo visivo evanescente ma preciso. Come in Dialoghi nel sogno, in viali...: «La casa è scomparsa dietro ai muri/ Unica traccia del commiato/ la scia della bicicletta sull’asfalto» (pag.56). La scia della bicicletta sull’asfalto: tipico emblema del ritmo di fuga, del tenore e della tenuta delle immagini di Galleria del vento e dei loro objective correlative (perdita, smarrimento, ma anche focalizzazione, avvistamento, traccia, commiato, saluto, conclusione, congedo).
L’energia ritmata del trobar clus di Cannillo trova in questi testi la conferma della coesione e dell’intensità delle atmosfere delle prove precedenti ma anche l’approdo a una modulazione rarefatta.
Ogni testo è un tessuto dinamico di allitterazioni, assonanze, consonanze. Un tessuto screziato e intercomunicativo, fin dall’esordio: «Chi scuote questa galleria del vento/ dove oscillanti fiori e fondamenta/ e palpitanti ci animiamo?/ Come pianure disperse nella nebbia/ misuriamo la potenza del vuoto/ respirando l’aria dell’attrito/ I cristalli del corpo ci accendono/ nell’alito imprevisto che ci sfiora/ Sono lampi e scatti nel corridoio buio,/ e sulla pelle vetro si alterna/ a velluto, nel vortice che scorre/ sul tappeto o s’impenna/ un capitano naviga il destino» (pag.11). Nello snodarsi di endecasillabi regolari/irregolari, è l’allitterazione delle v che inanella le parole decisive, che stringono tra loro interconnessioni anagrammatiche: vento, vuoto, imprevisto, vetro, velluto, vortice, naviga. Quelle su cui s’impernia la sensibilità e l’animazione del corpo. In particolare le coppie disposte vicine e semanticamente connesse: vento-vuoto, vetro-velluto. Entrambe sono legate dall’allitterazione delle t e intrecciano un tessuto di assonanze/consonanze (ento-oto-etro-uto). È la “potenza del vuoto”, la sua estensione e la sua energia, a trasformare lo spazio domestico e il nostro corpo in una “galleria del vento”. Vetro-velluto sono domestici, sinestesici ma opposti poli di luminescente trasparenza-fragile rigidità vs morbidezza-elasticità-buio.
Il corpo, con il suo desiderio e le sue frantumazioni, è il protagonista altro del libro. Il suo esserci, il suo sottrarsi e il suo potere di restituzione e di insediamento di dolore e qualche volta di gioia: occhi, pelle, vene, ossa, fibre. «La trama del corpo si mostra/ al rovescio» (pag.55), nelle impronte, nelle scie, nella scrittura, nel doppio, nell’altro: «Il desiderio ormeggia al confine/ sulla soglia irremovibile del corpo/ mentre ogni ramo e onda/ sono vene e pelle bagnate di luce/ Contemplo ad occhi spalancati/ quello che tu vedi ad occhi chiusi» (pag.53). Con gli stigmi di una scrittura vibrante e a volte visionaria, ciò che è dentro esce fuori, viene, per interposta persona, allo scoperto.