Zingonia Zingone per Alessandro Vetuli
![]() (In)difesa umana
|
|
autori: | Alessandro Vetuli |
formato: | Libro |
prezzo: | |
vai alla scheda » |
L’infinito appare nel poco
di Zingonia Zingone
La poesia, come per Aristotele il “bisogno di filosofare”, nasce dalla meraviglia; dallo stupore e l’inquietudine sperimentati dall'uomo quando, soddisfatte le immediate necessità materiali, comincia a interrogarsi sulla sua esistenza e sul suo rapporto con il mondo. La poesia però, va oltre il bisogno di filosofare: raccoglie in sé il dettato del cuore.
Proprio questo ci dimostra il giovane poeta romano Alessandro Vetuli nel suo libro “(in)difesa umana”. Stupito dall’orrore dell’attentato all’istituto Tecnico Morvillo-Falcone di Brindisi (maggio 2012), nel quale una studentessa di sedici anni ha perso la vita e cinque ragazzi sono rimasti gravemente ustionati, Vetuli lascia scivolare la penna del suo cuore sul foglio bianco, riportando alla nostra attenzione il valore della vita.
Un richiamo alla vita. Una protesta contro la morte, un ponte tra la cronaca nera e il mistero che spinge l’uomo, in balia del demonio, ad agire contro natura.
Raccontagli
Di questo tuo amore malato per l’inferno,
di questa tua lucida impossibilità di amare la vita
Raccontagli
Di questa tua castrazione umana ed emotiva,
racconta ai tuoi figli che hai ucciso.
Digli che hai voluto sputare
Il tuo catarro di vecchio
Su un frammento di creato.
Un mistero o una condanna? L’autore cita “Caino” di Mariangela Gualtieri: La profezia che porto nella carne/ è questa: calpesterai ciò che ami./ Molto vicino, intorno/ e dentro te - ciò che ti fa vivo/ lo massacrerai. Tuttavia, non si rassegna di fronte a questa menomazione della luce:
Perché sei venuto proprio qui
A lavarti le mani dal fango
Nell’acqua del mio battesimo?
Penetra le crepe della sofferenza e cerca disperatamente la luce. Si fa telecamera e registra ogni dettaglio, visibile e invisibile, nella speranza di ritrovare la speranza. Infatti, dopo il bombardamento,/ Golgota all’ora nona […] pelle disseminata e libri di storia aperti dal fumo/ alle pagine di Nagasaki e Hiroshima, Vetuli invoca il pentimento di Giovanni, autore della tentata strage, perché il perdono oggi/ non ha debiti né debitori e nell’immaginaria “cella d’isolamento” fa risuonare di nuovo i versi della Gualtieri: Dagli l’intelligenza silenziosa del fiore// Fa che salvi la terra da se stesso/ che la fecondi di nuovo.
Ma l’imputato pare apatico, una specie di Meursault di Camus; uno che si domanda, come se non fossero fatti suoi, che suono ha la colpa. Osserva l’acqua nel lavandino e pensa che rumore farà/ Tutta quella geometria liquida/ Accumulata nel bianco/Quando si spezza. Non si lacera. Così ora sai che mi chiamo Giovanni. E passano le ore di quel tempo infinito che è castigo. Un castigo che vede l’indifferenza della figlia che evita di andare a trovarlo affogando nel silenzio dolore e vergogna. L’assassino conclude con cerebrale accettazione: I vivi non fanno mai visita ai morti.
Come dunque ritrovare la speranza?
Vetuli crede nella forza redentrice della parola e ricorre alle “bende della parola”. Bende ricche di referenze bibliche e dantesche, d’immagini schiaffo che di fronte a un male ingiusto, urlano amore. Riporta l’attenzione su di sé:
Chi è questo ragazzo che scrive di noi ?
Quest’uomo che separa il silenzio dalle parole,
le ombre dalla luce ?
Che almeno i poeti non ci lascino bruciare
Perché non abbiamo l’età del legno
A parlare è Melissa, la studentessa morta, che nel suo non esserci più, vede. Vede bruciare la sua città, il suo paese, le colpe. Sente ardere il mistero nelle sue viscere. È una fenice sensuale che torna a vivere: Tocca i nostri corpi/ Con il tuo dito inchiostrato di vento […] Disegna un incastro o una forma/ Che riempia le curve dei fianchi. Melissa vede anche la sua compagna ustionata; Veronica è viva ma porta la croce di avere un corpo sfigurato, si accarezza la pancia […] e si ripete/ Che vuole che tutto torni come prima/ Sapendo però che tutto, tornerà solo come un dopo. C’è anche Anna che ha perso un orecchio ed è quasi rimasta sorda; taglia i pomodori/ non sente l’arrivo del coltello sul tagliere/ spesso si ferisce. Ma sente che il giorno del funerale di Melissa anneghiamo tutti.
L’autore tesse il poema come se si trattasse di una tragedia greca, fatta di personaggi e coro, di ritmo e dolore. Tra gli eroi, spicca la madre. Odisseas Elitis dice che le madri ci sono per piangere, ma Vetuli aggiunge che sono il legame fra il cielo e la terra… tra il ramo e l’oliva.
Madre spiaggia
Madre corallo
Madre sudore freddo del panico
Madre sudore caldo di chi inforna il pane.
Madre aggettivo possessivo
Scritto dentro i miei organi:
Mia, mia
Mia Madre.
E inverte l’ordine, è la figlia morta a parlare della madre viva, attribuendo all’amore filiale la forza capace di resuscitare una vita rubata all’amore, troncata dall’illogica violenza. Ed è nella morte che la figlia ritrova la sua fonte: Io ora sono il bianco/ E riinizio a parlare la mia lingua madre/ Dalla più piccola molecola d’amore.
È un coro di voci, sospiri, esplosioni e brandelli quello che dice “come si scrive la parola vita”. E mentre tutto chiedeva/ di essere atteso, di tornare nel suo vero nome (Milo de Angelis), i ragazzi della scuola scoprono che la parola ha la stessa forma della luce e ridefinire la vita è superare la paura del buio.