La disciplina degli alberi

La tua assenza
è la mia disciplina


La raccolta di Giancarlo Stoccoro ha chiamato a garanti della propria solidità, tra gli altri, due versi di Paul Celan: «La poesia non si impone più, si espone./ Sulle proprie macerie sta e spera la poesia»; e, subito, una dichiarazione di poetica, brevissima, chiarissima: «Spossessarsi di sé/ abitare i contorni/ e la forma breve/ custodire il silenzio/ come reliquia/ affondare la parola». Il procedere per brevità fantasmatiche, percorse da un senso di abbandono, mette in luce o, meglio, in ombra un io che guarda a un tu, a una distanza, il cui spaesamento riafferma per contrasto un paesaggio, costante, di cui si fanno cifra qua e là una pianta, una stanza, un cavalcavia, e il tempo segnato dalla neve o da una foglia-farfalla o, ancora, dalla rarità oggidì nell’arte della falce. L’occhio del poeta osserva una realtà «a mezz’ombra», descritta «senza ulteriori aggettivi»: la cammina, come Robert Walser. Vi constata la banalità del tutto, per ricondurci a dati innegabili, rivelarci una verità antica, che zittisce: «A novembre gli alberi/ resteranno nudi/ fino a tardi». La poesia stessa appare abitatrice inquieta ma riposta, discreta, nella «disciplina degli alberi» e in quella del poeta, la cui lente pare riflettere – per «geometrie elementari» e «corpi d’ombra» – i toni opachi della città diffusa del Nord Italia, nella piana lombarda trafitta dalla Paullese: è alla ricerca continua di un abbraccio, di un gesto che, nella propria «brevità spigolosa», tradisca ancora il mutare quieto delle stagioni, per un nuovo equilibrio psichico, affidandosi (come fece Zanzotto) al test più pittorico: «e mi aspetto ancora molto/ dalle macchie di Rorschach».

Motivazione del primo premio nazionale di poesia “Arcipelago Itaca”