Laevia manzoniana
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Descrizione |
«Fortunate voi anatre alle quali arride aperto il cielo Ed ampi stagni si schiudono, dalle libere rive. Intrecciate reti di ferro qui ci imprigionano, Ed invidiosi sovrastanti tetti ci privan della luce. Scordiamo, ahimè, verdeggianti ed irraggiungibili fronde E gli altri uccelli ai quali non ci è dato accompagnarci. Se qualche volta le immemori ali spieghiamo al volo, Cadon le nostre penne respinte come sono da tristi reti. Né gioco alcuno né i dolci amori ci porta primavera, Nessun nido ci donò – garrula schiera – i cinguettii. In luogo di un fluente ruscelletto o del lieto mormorio di una fonte Un articolato condotto ci dà acque stagnanti, Attratti come siamo dalle vostre crudeli lusinghe, In una prigionia senza fine trascorriamo una inutile quiete!» Volucres titola l’unica e tardiva poesia in distici elegiaci latini scritti dal Manzoni dopo una delle consuete passeggiate dalla chiesa di San Fedele ai Nuovi Giardini Pubblici, dove gli uccelli «cinguettavano in latino», chiusi nelle loro gabbie. I versi sono sicuramente espressione di una pietas verso le Creature del Signore, private della loro libertà dalla crudeltà umana, le cui ali sono divenute immemori del libero cielo...
«Anticamente si usava indicare l’osteria con una frasca appesa alla porta. È necessario allo scrittore, come all’oste, reclamizzare il proprio prodotto!» Certamente tutto fece il Manzoni salvo farsi pubblicità, né ne ebbe bisogno. Ma per i suoi mots d’esprit ci pensarono i suoi amici che nei loro memoriali ce li hanno tramandati quali furono espressi. Sono quasi tutti in quella sapida lingua meneghina che ebbe come Vati Carlo Maria Maggi e la «cameretta portiana», quella lingua schietta che par fatta apposta per dir la verità. È qui proposto un saggio sufficientemente rappresentativo di questi giavanàd di don Lisander, dei Laevia gustosi e ricchi di buon senso.
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