M. R. Cesareo per Donna in fabula
19.05.2015
![]() Donna in fabula
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autori: | Lino Angiuli, Lino Di Turi, Vito Matera |
formato: | Libro |
prezzo: | |
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Lino Angiuli – Lino Di Turi
DONNA IN FABULA
FIGURE FEMMINILI DELL’IMMAGINARIO FAVOLISTICO POPOLARE
Con tavole di Vito Matera, prefazione di Giuseppe Lupo
La Vita Felice, Milano 2014
‘A mille ce n’è nel mio cuore di fiabe da narrar...’
In principio era Esopo, poi, sorvolando i millenni con un volo pindarico che solo l’immaginario favolistico può compiere, passando da Fedro a Basile, da La Fontaine a Perrault, dai fratelli Grimm ad Andersen, da Gozzi a Pignotti, da Capuana alla Perodi per finire a Calvino e - restringendo il campo in ambito pugliese - a Saverio La Sorsa, vennero Angiuli e Di Turi.
Stiamo parlando di favole, fiabe, storie, racconti popolari, quel genere letterario che siamo soliti circoscrivere e definire come “letteratura per l’infanzia”, quell’enorme, inesauribile serbatoio di fantasia che, senza il laborioso tam-tam di scrittori e ricercatori, studiosi e trascrittori, ripropositori e re-inventori, nonché di abili narratori e cantastorie, non sarebbe giunto fino a noi. E a giudicare dalla freschezza di Donna in fabula: figure femminili dell’immaginario favolistico popolare (La Vita Felice, Milano 2014), di Lino Angiuli e Lino Di Turi con tavole di Vito Matera, si direbbe che il fascino della favola narrata ad alta voce ha mantenuto inalterato nel tempo il suo valore.
Proprio alla salvaguardia del racconto orale mira il lavoro degli autori che, attraverso un’attenta e meticolosa ricerca sul campo, in giro per «cassonetti culturali, discariche mnemoniche, cantine editoriali e ripostigli relazionali» (dalla premessa a La morale della favola) hanno raccattato e rac-cartato una produzione favolistica di tutto rispetto: Lino Di Turi - che ambisce al titolo di Favoliere delle Puglie (cfr. omonimo sito web da lui curato) - inaugura, con Giovanni Minardi, la stagione del recupero favolistico proprio con questo titolo, per i tipi di Raffaello, Bitonto 1991; nel 1993 esce Favolare : fantasia popolare pugliese (CPE, Modena), che sancisce il connubio col sodale Angiuli; seguito da Puglia in favola : fra teatro e lingua del 1999, sempre per la CPE; mentre è la volta di Pugliamare : fiabe popolari pugliesi (Milella, Bari 2005); segue a ruota Leggendo leggende: racconti pugliesi tra storia e fantasia (Adda, Bari 2005); e procede la corsa in tandem con La morale della favola: racconti, favolette, apologhi popolari raccolti in Puglia (Radio, Putignano 2007). Prima ancora che vedessero la luce come raccolte autonome, sia le diciannove storie de La morale della favola che le sette di Donna in fabula, sono state pubblicate sul periodico di identità territoriale «Fogli di periferia», diretto dal prof. Pietro Sisto, sempre per l’editore Radio.
Quest’ultima raccolta, che conserva integro il sostrato didattico-educativo, nonché una forte valenza socio-antropologica, si avvale di un’opzione linguistica che gli autori definiscono “postrurale”. Solitamente, la premura letteraria di certi “recuperi” demologici è quella di ripulire e scremare il linguaggio del volgo per renderlo più “gradevole” e appetibile al grande pubblico; qui, invece, così come per le precedenti pubblicazioni, accade esattamente il contrario ovvero si mira a conservare e ad accentuare sonorità, timbro, costrutti, cadenze e sfumature linguistico-espressive del popolo contadino e di tutte quelle culture cosiddette “marginali”, restituendo loro unitamente colore e spessore, valore e dignità.
Ad esaltarne il colore, per l’appunto, il corredo di tavole di Vito Matera, eclettico e versatile artista gravinese, da sempre compagno di cordata del duo Lino & Lino e fedele interprete dell’universo meridionale: le sue donnine acquerellate, quasi di ascendenza chagalliana, fluttuano sui fogli in girotondi di folletti, orchi e regine, gomitoli di luna e diavoletti tridentati; chiome arboree, torri inespugnabili e banderuole di galletti tagliavento fanno del libro un gioiello da leccarsi gli occhi. Alle orecchie, invece, ci pensano i due autori che da sempre drammatizzano le favole con letture performative alternandosi nel ruolo di “spalla”, abilissimi nel recitare a soggetto senza il pieno rispetto del copione. Dotati entrambi del dono dell’improvvisazione e della battuta all’impronta, sanno regalare al pubblico la magia e l’emozione dell’ascolto.
Soggetto di questa raccolta è la figura femminile che si configura e si delinea in Sette storie del narrare meridiano, come recita il titolo prefativo di Giuseppe Lupo, saggista e narratore lucano di ampio respiro (Premio Selezione Campiello 2011), che sottolinea quanto vitale e necessario, in tempi di «esaltazione del grigiore quotidiano», con un «eccesso di tendenza a credere nei dogmi di una letteratura facile preda di un mercato che cerca di proporre il sangue, la morte, il dolore», possa risultare un tuffo nell’immaginario; e non per evadere dalla realtà, per ripiegare e ripiegarsi nel passato sull’onda di un arretramento nostalgico verso il bel tempo che fu rifugiandosi in una letteratura consolatoria, bensì per attingere a piene mani da una cultura povera, sì, ma balsamica, alternativa al tempo presente, in grado di reggere contenuti inalterati nel tempo e valori a cui varrebbe la pena ispirarsi e con cui confrontarsi.
La natura stessa della favola, del resto, ci rimanda alle più svariate analogie e somiglianze tra diverse epoche, contesti, ambientazioni, luoghi alla continua scoperta della condizione umana: la vita, la morte, la fede, l’amicizia, l’amore, la paura, i desideri; così come il bene e il male, le sfide, gli spiriti malvagi, tutte tematiche e motivi presenti nelle narrazioni pugliesi e d’altrove. Così, azzerando la componente spazio-temporale, l’immaginario compie la magia di congiungere trasversalmente popoli e culture diverse evidenziandone al contempo caratteristiche e bellezza.
Perché sette storie rigorosamente al femminile, verrebbe da chiedersi, «Perché le donne (non gli uomini) - sottolinea Lupo - sono il vero motore della civiltà mediterranea»: donne formose, “massare” dai seni generosi e dai fianchi larghi e capaci, come capace e generosa è la madreterra pugliese che fa da scenario alle protagoniste. Figure minori e appartate, silenti casalinghe e madri di famiglia intente a governare il nucleo domestico (Maria la massara); orfane bellefatte e aggraziate (Figlia e figliastra); vecchiette attive attive (La ricca e la povera); suocere riottose e nuore sangue e latte (La suocera infame); madri devote e oranti, Madonne con sembianze di mule (Una volta la Madonna); giovinette in età da marito (Rossella Raspatella); fresche fanciulle olezzanti di erbe aromatiche (Maiorana). Teresina, Cecchinella, Nenetta, Mariannina, Peppinella, Cecchina, Giovina, Melina, Marietta e Sabatina: tutti diminutivi, quasi a sminuirne il ruolo, l’immagine, “piccole donne” subalterne del mondo patriarcale, ma «Oggi sappiamo che non è mai stato così e la voce di queste narrazioni ce le restituisce nel loro paradigma di creature tenere e feroci, ambigue e intraprendenti, innocenti e avventuriere» (Lupo), insomma, donne da favola.
Un singolare aspetto che va altresì riconosciuto alla raccolta è senz’altro quello di aver annullato il limite letterario imposto alla fiaba e alla favola, due generi solitamente distinti e ingabbiati nello schema canonico che vuole da sempre la prima come un racconto sostanzialmente ottimistico il cui ordine delle cose viene interrotto e capovolto dall’intervento di forze supreme e sovrannaturali che si contrastano e si dibattono l’immancabile lieto fine; la seconda, in base al modello greco, dovrebbe conservare il suo carattere parenetico (autorevolmente esortativo, ammonitorio) e gnomico (sentenzioso, didascalico, insegnativo): non a caso la nascita della favola, con Esopo, contraltare della visione omerica ed eroica dell’esistenza, coincide con la nascita della prosa letteraria. Ecco, questa distinzione viene meno: i due generi letterari si mescolano e si con-fondono senza che l’uno prevalga sull’altro, così che il lieto fine non sovrasta né offusca la morale e quest’ultima non impedisce al primo di compiersi, ma ne è coronamento. Allo stesso modo, in questa raccolta, si assiste al parziale abbattimento di un’altra sostanziale differenza tra i due generi che risiede nel fatto che i personaggi fiabeschi hanno prevalentemente sembianze umane, al contrario della favola solitamente animata da animali e piante. A questo punto si potrebbe azzardare l’ipotesi, non del tutto infondata, che i due autori, creativi di nota matrice antiletteraria e antipurista, abbiano quasi involontariamente dato origine ad un nuovo genere: quello della fiabula, per usare un neologismo di marcata ascendenza angiuliana.
«Le favole hanno le gambe lunghe», per usare un’espressione di Italo Calvino, cammina cammina oltrepassano i confini delle regioni e del mondo, assorbendone saperi e sapori, favorendo altresì possibili aperture, scambi, incontri, meticciati culturali. Lo ha intuito una casa editrice milanese, che ha creduto in un’operazione tutta meridionale a dispetto di steccati territoriali e regionalistici ormai demodè e overtime.
Buon viaggio nell’immaginario favolistico, dunque, anzi, buon volo, perchè favolare... fa volare.
Maria Rosaria Cesareo