Giuseppe Grattacaso per Roberto Veracini con «Ma d'ogni cosa resta un poco»
![]() Ma d'ogni cosa resta un poco
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autori: | Roberto Veracini |
formato: | Libro |
prezzo: | |
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Frammenti di speranza
La nuova raccolta poetica di Roberto Veracini racconta gli orrori a cui ci stiamo abituando. Ma nei frammenti lasciati a terra dai crolli, c'è pur sempre il segno di un futuro possibile
Ma di ogni cosa resta un poco è, senza ombra di dubbio, un titolo programmatico. Il poeta Roberto Veracini, che è nato e ha sempre vissuto a Volterra (la notazione, come vedremo, ha la sua importanza) prende in prestito un verso, per titolare la sua nuova raccolta (La Vita Felice, 92 pagine, 13 Euro) e l’ultima delle sei sezioni di cui essa si compone, dalla poesia Residuo del poeta brasiliano Carlos Drummond De Andrade. Per entrare efficacemente nel contenuto del libro e nella poetica dell’autore, e renderci conto del reale rilievo del titolo, è utile partire da un’immagine forte ed emblematica, contenuta nella poesia che chiude la sezione L’uomo spezzato, la prima delle sei sezioni che formano la raccolta. È l’immagine della statua in terracotta di una giovane donna, che dalle mura di Volterra ha lo sguardo dolce e attento puntato in direzione di colli e valli che declinano verso il mare. Poco più in là un tratto delle antiche mura della città è crollato. Molti ricorderanno il crollo di un ampio costone della cinta medioevale, avvenuto nel maggio del 2024, in una bella giornata di sole. La ragazza (nella foto sopra), opera dello scultore Renzo Gazzarri, anche quel giorno, mentre a pochi metri le mura si sbriciolavano, rimase seduta, indifferente al crollo, e, per quello che ne sappiamo, intenta a guardare il mare, che doveva mostrarsi chiaro all’orizzonte in quella giornata tersa. Scrive Veracini: “è rimasta lì / a guardare il mare / una sirena in esilio / fra le colline e il vento / oltre la terra che scompare / Niente finisce per sempre / le mura di Volterra hanno un’anima / scolpita nel volto di una statua / che resta in bilico sulla voragine, / non cadrà”.
“Niente finisce per sempre” insomma vuole dire non solo che di ogni cosa qualche frammento rimane, ma anche che quel residuo forse contiene un tratto vivo che ci porterà più avanti, la formula capace di aprirci al futuro. L’argomentazione è chiara già nella lirica, più lunga e distesa delle altre, che apre la raccolta. Nella poesia Tutta un’altra storia la riflessione, di natura nobilmente politica, ci mostra, senza mezzi termini, il baratro nel quale stiamo precipitando: “sta cadendo il mondo”, scandiscono i versi, “ma ci stiamo abituando”. Ciò non toglie però che “la speranza ha un nome che non si cancella / batte forte nella testa, come un pensiero incessante”. Anche il progressivo imbarbarimento, la rovina morale che appare come il crollo, appunto, di ogni soluzione basata sulla ragione e sul rispetto dell’altro, sia esso essere umano, popolo o Stato, non può lasciarci senza speranza: “quel cielo aperto lì sopra, una sfida all’orrore / un avviso di uscita”. Dal crollo delle mura di Volterra e dalla caduta del mondo possono salvarci gli sguardi indirizzati verso la luce del mare e del cielo, insomma verso “la vita, mi dici, ancora la vita”. È questo il poco che resta, è questo a cui è necessario aggrapparsi, ci dice Veracini nel suo discorso poetico che in questo libro si fa insieme civile e intimo, non solo per salvarci come singoli individui, ma per salvare tutto quello che è intorno a noi, tutto ciò che l’umanità ha costruito nel tempo.
Volterra diventa, ancora più che nelle precedenti raccolte (ricordiamo le ultime due: Via de’ laberinti del 2016 e Esercizi di distanza del ’21) il piccolo mondo in cui si specchia il Mondo, quello enorme abitato dagli esseri umani e dalla loro Storia. E il piccolo mondo volterrano è anche a suo modo per il poeta una sorta di piccolo mondo antico, nel quale, complice la memoria di quello che è stato e della vicenda familiare e personale del poeta, certi valori riemergono da un passato più o meno lontano e sembrano essere chiamati a rinnovarsi e permanere. Ma d’ogni cosa resta un poco è anche un viaggio a ritroso nell’infanzia e nell’adolescenza, il tentativo di riportare in vita, attraverso la parola e il ricordo, le persone care scomparse, a partire da padre e madre, perché c’è sempre un poco di loro nella vita di chi rimane: “Ora che sto invecchiando / sempre più ti somiglio / provo un piacere tutto / nuovo e inaspettato” scrive Veracini in una sequenza poetica dedicata al padre.
In fondo è un dire politico anche questo che pure appare privato e intimistico, se è vero che il poeta, come scrive Donatella Bisutti nella Prefazione, “cerca di recuperare una qualità si spera indistruttibile della Persona tentando una ricostruzione del Senso a partire dalle radici”. Dunque le liriche di Veracini, sempre ridotte all’essenziale, sempre costruite sottraendo e eliminando il superfluo, sono “un lungo colloquio con le Ombre ‒ ad affermarlo è Daniele Luti nella Postfazione ‒ che implica un inabissamento nella storia della sua sensibilità di poeta”.
Tutto ciò è chiaramente espresso nelle brevi prose dell’ultima parte del libro, quella appunto che ha titolo Ma d’ogni cosa resta un poco, nella quale emergono lacerti della vita adolescenziale e giovanile dello scrittore. In una di queste prose anche il poeta si ritrova, così come la ragazza in terracotta sulle mura di Volterra, davanti al mare: “La voce del mare, quel rumore che passa incessante e non si trattiene. Da lontano, da chissà quanto lontano. Qui è la vita che è stata e che sarà. Qui è la mia voce”. La voce della poesia infine, per Veracini, è lo strumento privilegiato per recuperare e trattenere quel poco che di ogni cosa resta.