Luciana Moretto su «Poesie» di Lu Xun
25.10.2016
![]() Poesie
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autori: | Lu Xun |
formato: | Libro |
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Traduzione di Anna Bujatti, testo cinese a fronte
«Dimora polverosa dalle finestre sprangate» così parlando della casa paterna decaduta, leitmotiv dei testi giovanili, Lu Xun ( 1881-1936 ) adombra la condizione storica del paese in cui è nato e vive, la Cina stessa che nel corso dei millenni ha visto il succedersi di numerose oltre che turbolente dinastie durante le quali la poesia era quasi un rifugio obbligato per i letterati - sovente impegnati in importanti cariche pubbliche - al fine di sottrarsi alla precarietà della vita quotidiana, almeno per qualche tempo.
Della tradizione poetica e letteraria cinese classica una buona parte è conosciuta anche qui da noi in Europa grazie ai vari traduttori che si sono cimentati nell’ardua impresa: in effetti se c’è perdita nel passaggio dall’Oriente all’Occidente, da una lingua ideografica come la lingua cinese a una lingua alfabetica - fatalmente una ferita vi si produce come in ogni traduzione - d’altra parte ci permette di scoprire grandi e piccoli capolavori di narrativa e poesia.
Tra i grandi nomi della letteratura classica spicca su tutti Li Po (701-662) considerato spesso come il maggiore dei poeti cinesi, certo il più conosciuto in Europa e il più tradotto.
Visse in un periodo tragico e cruento della storia cinese sconvolta da una guerra in cui morirono trenta milioni di uomini e tuttavia Li Po nei suoi versi riuscì ad estraniarsi da tanto orrore «con la testa appoggiata a un guanciale di nuvole azzurre» per usare le sue parole.
Con un balzo di secoli, immerso in tutt’altra temperie sociale e politica, si staglia la figura di Lu Xun che pur tentando di alienarsi dal suo tempo –
l’invasione giapponese, le più basse manovre di potere, il paese alla deriva - ne è dolorosamente partecipe come ben si evidenzia nei versi «Annaffiate di sangue, nella Cina crescono folte le erbe» oppure «Il mio paese è chiuso soffocato da nuvole cupe,/ la prolungata notte tiene la primavera a distanza».
Persino più incisivi i versi «In questi sei mesi ho visto ancora moltissimo sangue e moltissime lacrime/ ma io non ho che i miei saggi brevi e questo è tutto».
Svanita potremmo dire la serenità zen di Li Po: nei testi di Lu Xun domina un senso di inquietudine e smarrimento di fronte alle vicende che scorrono sotto i suoi occhi. Dopo il massacro del marzo 1926 in cui vide cadere indifese le sue allieve della scuola normale di Pechino, Lu Xun sente l’inutilità del bel testo, dell’immagine levigata, della composizione preziosa.
La contrapposizione di matrice taoista tra cielo e terra si rovescia nella contrapposizione storica, presente, tra aggressione militare e disarmata miseria in cui gli umani «non trovano un’erba di cui vivere».
Dopo un’infanzia trascorsa nel tepore degli affetti domestici di cui conserverà sempre profonda nostalgia (la nostalgia, un tema dominante nella poesia cinese di ogni tempo ), la frequentazione di scuole classiche, per completare il corso di studi Lu Xun si trasferì in Giappone e in seguito, tornato in Cina, si dedicò all’insegnamento in varie università impegnandosi al contempo nella stesura di racconti, ma soprattutto saggi di analisi sociale e politica – il tono è spesso ironico ma non impietoso – in cui il sottoproletariato cinese appare rassegnato all’oppressione, immerso in una sorta di letargia da cui sembra non voler uscire: «Nella patria in letargo c’è posto solo per ortiche e rovi ». Come a dire che solo la sterpaglia può vegetare indisturbata.
Prevedibilmente ciò gli valse la messa al bando da parte del Guomindang, il partito nazionalista cinese che mise all’indice i suoi scritti e traduzioni pubblicati a partire dal 1926.
Visse appartato fino all’ultimo inverno della sua vita a Shanghai, nell’ora buia quando già vedi «le stelle dell’Orsa toccare l’orizzonte».
Scoperto e valorizzato come poeta in tempi piuttosto recenti per merito di un assiduo lavorio critico da parte di studiosi cinesi (la sinologia occidentale fino a oggi ha pressochè ignorato il suo corpus poetico ) Lu Xun viene considerato il fondatore della lingua moderna nel senso di lingua volgare, lingua parlata. Dirà lui stesso di avere scritto alcune poesie soltanto allo scopo di «dare una mano», di incoraggiare l’uso della lingua parlata nella creazione artistica, di favorire e stimolare il movimento per una nuova cultura nel suo paese. Un riformatore dunque.
Nell’opera di Lu Xun la poesia rappresenta un filo sottile intrecciato agli altri ben più visibili e consistenti della saggistica e della narrativa; e tuttavia versi dotati di grande forza figurativa ed emotiva.
Oltre alla nostalgia per l’ambiente familiare, per la madre e gli amici, innumerevoli sono, nelle sue quartine, i riferimenti alla natura come sfondo onnipresente delle vicende umane, riconducibili segnatamente al mondo vegetale: boschetti odorosi, orchidee selvatiche, crisantemi, il salice - albero dell’addio, l’amara artemisia d’autunno, le erbe del mare che rinverdiscono in assenza del poeta. Corrispondenze simboliche a volte su piani paralleli a volte su tempi contrapposti.
Certamente all’origine della poesia di Lu Xun c’è un anelito al rinnovamento, al risveglio della coscienza di un popolo, per lo più frustrati dalla consuetudine all’isolamento che per molti secoli fu il segno distintivo del grande paese chiamato Cina.
Isolamento da cui paiono usciti, purtroppo da poco tempo, anche Lu Xun e la sua opera.
Luciana Moretto