Novità poesia: Maurizio Mattiuzza - La donna del chiosco sul Po
![]() La donna del chiosco sul Po
|
|
autori: | Maurizio Mattiuzza |
formato: | Libro |
prezzo: | |
vai alla scheda » |
Terra umida e fertile, terra di fiume. Specchio per la notte delle stelle, cava dove dorme una radice. Terra che si chiude, come un sipario, sul percorso di una generazione e inghiotte nel mistero il destino di un fresatore balcanico, fa suoi per sempre i sogni traditi di una contadina.
Maurizio Mattiuzza indaga l’esito di una frattura.
Mette in figura volti, storie, quartieri e campi ai bordi delle ferrovie. Prova a capire cos’è rimasto oggi, nella crisi del terziario avanzato e al capolinea del miracolo del Nordest, dei valori e delle speranze di tutta un’umanità avvolta nella nebbia di un passaggio storico ancora da definire.
Dipinge donne e uomini che hanno sì subito, ma anche vissuto e interpretato con dignità, il tempo che prelude un cambiamento sociale. Calciatori troppo esili per la gloria, troppo fragili per la vita, periferie serializzate, operai con malattie professionali, ex dattilografe e maestre chiuse nelle loro case di ringhiera zeppe di libri e vasi di fiori, giù fino agli ulivi del sud e alla figura che da il titolo alla raccolta. La donna, che all’alba degli anni ’70, dal suo chiosco in riva al Po, desiderava per sé, ma soprattutto per i propri figli, quel futuro in fabbrica che è stato l’approdo di migliaia di italiani usciti dalla civiltà contadina. Un approdo che la turbo economia del nuovo millennio ha spesso ridotto a cenere di cemento in disuso.
Tra disorientamenti, fabbriche chiuse, amicizie fragili e nuove rinascite, il libro incontra lungo la strada accanto alla lingua italiana, pure quella friulana e l’idioma della Bassa Valsugana, confermando quella poliglossia che è ormai da anni uno dei tratti originali del linguaggio poetico di questo autore.
L’esondazione di un amore
Pretendevi la mia parte del fiume
la riva dove ci si salva dal vento
qualunque sia il gesto
poi è piovuto, tanto,
e l’argine s’è smosso
non c’era più terra
ne’ paradiso
solo lo stacco d’un ramo
caduto nel gorgo
il nostro amore alla foce
andava già tutto in fango
il mare lo sputava indietro
confuso dal sale
come un pesce che non ha
più un’acqua dove stare
preferire il silenzio allora
mi parve la parola migliore
l’unica strada da risalire
Cafè de casa (in dialetto della bassa Valsugana)
Sarà che mi no son mia mai
sta bravo a fa de conto e i ani
me passa rento i dei
come na bisèrdola
epur me ‘n par giusto gieri
che il treno el se fermava ‘ncora rente
e ghèra alberi diversi, rideva
zente fusilà da l’esser viva,
femene strache omeni
che no dormiva assè da quei dì
de la guera co la tera
spuava su disprezo e paura
voia de trarse là tel niente
la vale impirà sora le masgiere
o magari l’è che ghe se crede
a sto restar doveni par sempre
sognar el sogno de na roa
tacai su par na spirangola
piche de ua, osei che tubia
el presente co ‘ste storie de laoro
de tera e dignità perdua
che le torna col sdrèl de na bufera
se solo ne sentiòn dir forse, ecco,
sì la fabrica i la sèra e le machine
le va tutte all’altro mondo
ma co la classe operaia
parchè quei che laora
a morir senza dir niente
l’è n pezo che i se guadagna el nome
de esser bona gente
sarà, son restà fermo, opur tuto
el se fa sù cussì, a malomodo,
però desso me vorìa ‘na primavera
quel rebutar de foie che ga
i sbiozi de vissole cascai, senza tremar,
tel caldo del trefòi
Caffè di casa
Sarà che io non sono stato mai
troppo bravo a far di conto e gli anni
mi sgusciano via tra le dita
come una lucertola
eppure mi pare giusto ieri
che il treno si fermava ancora laggiù
e c’erano alberi diversi, rideva
gente fucilata dall’essere viva
donne stanche uomini
che non dormivano il giusto da quei giorni
della guerra quando la terra
sputava su disprezzo e paura
voglia di buttarsi via nel niente
la valle infilzata sopra alle massicciate
o magari è che noi ci si crede
a questo restar giovani per sempre
sognare il sogno di una ruota
star su appesi a una ringhiera
grappoli d’uva, uccelli che disturbano
il presente con queste storie di lavoro
di terra e di dignità perduta
che tornano con lo scroscio d’una bufera
se solo sentiamo dire forse, ecco,
sì la fabbrica la chiudono e i macchinari
se ne vanno tutti all’altro mondo
ma con la classe operaia
perché quelli che lavorano
a morire senza dire niente
è da un bel po’ ormai che si guadagno la nomea
di esser buona gente
sarà, sono rimasto fermo, oppure tutto
si acconcia un po’ così, a casaccio,
però adesso mi ci vorrebbe una primavera
quel rimboschire di foglie che hanno
i noccioli d’amarena caduti, senza paura,
nel caldo del trifoglio.
NA TEM STVARNEM KRASU
Traduzioni in lingua slovena, asturiana e greca a cura di:
Jolka Milič, Martìn Lòpez Vega, Massimiliano Damaggio
Največ poguma
Največ poguma, saj veš,
zmoremo čisto na začetku
ko poženemo kot trava
in se razrastemo cež rob
vseh vidnih
stvari
nato se naučimo govoriti
pisati, postanemo
zviti
previdni
na videz kot kamni in še
kar premeteni
kakor da bi se naučili
sanjati kot nekakšni mrliči
Il coraggio più grande
Il coraggio più grande, sai,
lo abbiamo all’inizio
quando nasciamo come erba
e passiamo sull’orlo
di tutte le cose
visibili
poi impariamo a parlare
scrivere, essere
scaltri
prudenti
a mostrarci di sasso
farci accorti
ed è come imparare
a sognare da morti