Rosa Salvia per Filippo Ravizza con «La coscienza del tempo»
![]() La coscienza del tempo
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autori: | Filippo Ravizza |
formato: | Libro |
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Filippo Ravizza
La coscienza del tempo
La Vita Felice, Milano 2017
di Rosa Salvia
La poesia di Filippo Ravizza si esprime in un ricco plurilinguismo definitorio e non evocativo, espressionista, presente sia nella raccolta precedente Il secolo fragile, che ne La coscienza del tempo. Alla composizione di una lirica che sia anche prosa, e alla poetica dell’oggetto, contribuisce una lingua sobria e puntuale, con poesie che prendono forma tra parole in coppia, in ossimoro, in uno scavo della lingua e nella lingua che annulla l’Io in una sorta di musicale, ma ‘dissonante’ perdendosi. Filippo Ravizza registra in infiniti registri il suo pensiero, continua, con ferrea volontà, a leggere ad infinitum il senso della caducità del tempo in questa nostra epoca sempre più precaria, e se non un senso comune a tutti, almeno il suo senso. Acuminate armi sono i suoi versi: “Disperdere dunque la coscienza / del tempo evaporare gli anni / così senza pietà correre correre” […] (p.17), e da profondo esploratore, instancabile, nella sua visione dialettico-materialistica del mondo, ci consegna ancora una volta la sua storia poetica. L’accesso alla ‘poesia’ lo fortifica, lo rende più agguerrito. Egli sceglie la poesia piuttosto che il silenzio, per non scivolare nel ‘Nulla’: “non pretendere il miracolo /di esistere dalla poesia, non / pretenderlo… / adagiati, abbi / pace, vivi questo momento / che ti dona la sparuta serenità / dei versi; possa accompagnarti / ancora… nulla di più alto, forse, / ci è dato”. (p. 20)
Con disincantata sapienza e giovanile temerarietà squarcia il suo velo di Maya e descrive la sua rappresentazione di un mondo schiavo delle regole di un tempo “provvisorio vuoto” con sempre “[…] il sorriso forte / e implacabile del puro constatare / “figli noi di un continente senza più / destino” mentre tutto intorno sussurra / tutto dice che è impossibile che non esisti / veramente che la vita in fondo non c’è /
non nasce mai, mai “. (p. 29)
Consapevole che la verità si cela, che le parole quasi mai sono chiare o veraci, che indossiamo delle maschere, ma che ad ognuno è data la possibilità di scoprirsi, di vagare di sé in sé, sbriciolando via via fragili certezze, disancora il proprio ‘io’ da falsi ormeggi. Di fronte al Nulla heideggeriano, sembra dirci il poeta, è necessario prima far tabula rasa delle esorcizzazioni illusorie, a cominciare da quella della morte per finire con quella del tempo della storia: “Non c’è la Storia non cantano / le cose oltre le cose tutti gli oggetti / ti circondano levano alto su di / noi il trionfo feroce della materia / inerte ritornello che ti dice “tutta l’ingiustizia che c’è stata / è scivolata via, nessuno l’ha / fermata nessuno l’ha punita”. (p.64)
La parola si frantuma: ma nella frantumazione di sé, i piani del tempo si incrociano e si confondono e il presente irrompe tragicamente schizzando come un lampo. Il linguaggio delle emozioni, sembra suggerirci Filippo Ravizza, nasce dalla perdita della materialità degli oggetti e accede alla metafisica dell’esistente, cancellando la separazione fra reale e irreale, nel puro dominio dell’incertezza e dell’assurdo: “un ponte intravisto nella notte” / dicevi e volevi dire il palpitare / di un attimo mentre ancora / esistiamo, ancora – chi può / pensarlo senza vacillare? / noi ci siamo, stiamo, senza / alcuna verità, senza possibilità / di senso o di vittoria nel premere / dell’ora. (p. 28)
Ciò che resta, anche se non consola, è il grumo dei ricordi (intense le due poesie dedicate al padre), la forza degli affetti: […] “me e mia moglie” dicevo una volta, / lo dico ancora”. (p. 54), e infine […] “e poi spegnere la luce / deporre la matita, affidare al silenzio / alla carta le parole intere”. (p. 84)
Rosa Salvia