Elogio del pomodoro
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Innervato dalla passione dei confronti, dalla lucidità della mente, dalla vastità dello sguardo, e insieme dal piacere vivo dell’affabulazione, Elogio del pomodoro non è solo un intarsio di grandi riflessioni storiche, esistenziali e perfino teologiche, ma anche un testo di autentico respiro narrativo: una galleria di personaggi tanto romanzeschi quanto solo la realtà sa inventare [...]; un teatro scoppiettante di situazioni assurde, create a getto continuo da quel regista beffardo che ora chiamiamo Caso ora Caos; un repertorio di ritratti dal vero di luoghi, gesti, sfumature, esperienze; un diorama di immagini colte in una vita intera di viaggi e incontri, ma ancora fresche come nel loro primo apparire. Del tutto immune dagli astratti furori dei moralisti alla Fortini come dal pathos viscerale del Pasolini interprete del tramonto dell’Occidente, questo è uno dei più bei libri di Citati, un’opera in cui sentiamo scorrere, filtrate e assimilate in profondità, le linfe dei maestri dell’amarezza o dell’indignazione (dal Leopardi del Discorso sopra lo stato presente dei sui costumi degl’italiani al Gadda di Eros e Priapo) e insieme di quelli della levità, della souplesse, della capacità di volare, danzare e innamorarsi (dai taoisti a Montaigne, da Mozart a Goldoni a Dickens). Penso che molti italiani, giovani e meno giovani, dovrebbero tenerlo a portata di mano sul comodino, per riscoprire, nelle sere in cui la loro anima vacilla, che «tutte le cose della Terra sono egualmente importanti», e che perfino le più piccole possono aiutarci a riscoprire il gusto dolce e salato dell’universo. Quarta di copertinaIn quegli anni, il pomodoro costituiva per me il cuore del mondo. Non la salsa di pomodoro, o il pomodoro al riso, che sono già degenerazioni, ma il puro pomodoro, condito con olio e sale. Lo mangiavo senza stancarmi mai, perché mi sembrava che non sopportasse paragoni nemmeno con i capolavori della cucina ligure: la torta pasqualina, e la cima. Il pomodoro era il frutto supremo del Mediterraneo: indorato, accarezzato, amato dal sole, che formava dentro di lui la polpa sostanziosissima dove affondavo i denti, la pelle delicata, i semi, il profumo squisito, il colore degno di Chardin e di Veronese. Quando lo mangiavo, ero penetrato dalla sostanza del sole, trasformato in una pianta. Insieme al cattolicesimo, costituiva l’essenza della civiltà mediterranea: stemperava gli eccessi ascetici della religione, invocava indulgenza per i nostri peccati, ricordava che noi siamo, in primo luogo, corpi.
Articoli che parlano di Elogio del pomodoro
2duerighe 1_03 per «Elogio del pomodoro» di Pietro Citati
2duerighe 1_03 per «Elogio del pomodoro» di Pietro Citati
In quegli anni, il pomodoro costituiva per me il cuore del mondo. Non la salsa di pomodoro, o il pomodoro al riso, che sono già degenerazioni, ma il puro pomodoro, condito con olio e sale. Lo mangiavo senza stancarmi mai, perché mi sembrava che non sopportasse paragoni nemmeno con i capolavori della cucina ligure: la torta pasqualina, e la cima. Il pomodoro era il frutto supremo del Mediterraneo: indorato, accarezzato, amato dal sole, che formava dentro di lui la polpa sostanziosissima dove affondavo i denti, la pelle delicata, i semi, il profumo squisito, il colore degno di Chardin e di Veronese. Quando lo mangiavo, ero penetrato dalla sostanza del sole, trasformato in una pianta. Insieme al cattolicesimo, costituiva l’essenza della civiltà mediterranea: stemperava gli eccessi ascetici della religione, invocava indulgenza per i nostri peccati, ricordava che noi siamo, in primo luogo, corpi. |
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