La peste letteraria
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La peste. Un nome «pieno di fantasmi e di paure», avrebbe detto un lombardo che non era privo di ingegno parafrasando se stesso. Un incubo che evoca spettri – la morte nera – e alimenta il terrore. Un morbo di origine antica che si manifesta con orribili bubboni e tende a infierire duramente soprattutto là dove le condizioni per il contagio sono più favorevoli: nei nuclei urbani affollati e nei quartieri poveri e degradati in cui miseria e sporcizia hanno maggiori probabilità di annidarsi.
Milano nel 1630, sotto il dominio degli spagnoli, e Londra nel 1665, all’alba della Restaurazione, erano due città molto diverse che, a distanza di pochi decenni, furono colpite dallo stesso flagello. All’epoca si ignoravano le cause e le modalità di diffusione della malattia, che divennero note solo a fine Ottocento. Le autorità cittadine emanavano gride e ordinanze per fronteggiare la calamità con i mezzi e le conoscenze di cui disponevano, mentre le autorità religiose avevano a che fare con superstizioni e fanatismi. Ciarlatani e fattucchiere avevano gioco facile nel suggestionare una popolazione spaventata e ignorante e la spasmodica ricerca di un capro espiatorio si traduceva spesso in caccia all’untore.
In questo volume proponiamo il ritratto che due illustri letterati hanno fatto delle loro città durante la pestilenza: Alessandro Manzoni in alcuni capitoli dei Promessi sposi e Daniel Defoe nel Diario dell’anno della peste. L’intento è di offrire l’impagabile piacere di leggere o rileggere pagine di indiscutibile valore documentario e letterario e la possibilità di confrontare due affreschi sociali e umani che a distanza di secoli non hanno perso nulla del loro originario colore e impatto.
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Prima di essere pubblicato, dovrà essere approvato dalla redazione.
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